Garlasco, “Cassazione troppo buona coi pm?”: Carlo Federico Grosso sulla Stampa

ROMA – Assoluzione annullata, il processo sul delitto di Garlasco è da rifare. Come Amanda Knox e Raffaele Sollecito, anche per Alberto Stasi la Cassazione rimette tutto in discussione. Con una fondamentale differenza però: nel caso di Stasi entrambi i giudici, sia di primo che di secondo grado lo avevano assolto. Tutto è possibile, ovviamente. Ma la decisione, quantomeno, induce qualche riflessione. Carlo Federico Grosso, sul quotidiano la Stampa parla di ” Una Corte troppo buona”.

Innanzitutto Grosso si chiede chi ha sbagliato

Innanzitutto, il ripetersi di inchieste e di processi per omicidio volontario che si protraggono per anni con alterne vicende e sovente fra polemiche, e che, giunti in Cassazione, incappano nelle censure del giudice di legittimità non può non destare sconcerto nella gente comune e gettare, in un modo o nell’altro, ombre sul funzionamento della nostra giustizia penale. Qualcuno, infatti, dovrà pure avere sbagliato: il pubblico ministero che non ha saputo impostare in modo adeguato l’inchiesta, o i consulenti che non hanno saputo maneggiare con sufficiente perizia le prove scientifiche, o i giudici che non hanno saputo ricostruire i fatti, accertare la verità, valutare adeguatamente le prove. O, addirittura, la stessa Cassazione che, magari, si è lasciata trascinare in valutazioni di fatto che dovrebbero esserle inconferenti o non ha considerato con sufficiente ponderazione che, se non c’è prova certa di responsabilità penale, il giudice deve necessariamente assolvere.

Grosso osserva che la Cassazione non è un giudice deputato a valutare i fatti, ma è bensì un giudice di legittimità che in quanto tale può solo rilevare “violazioni di legge” o censurare “vizi di forma”. Nel caso Stasi, i giudici di piazza Cavour hanno infatti osservato la “mancata assunzione di una prova decisiva” e denunciano la “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione”. La Stampa giustifica così la scrupolosità della Corte:

Poiché gli avvocati, pur di procrastinare l’esecuzione penale nei confronti dei loro clienti, non rinunciano mai a ricorrere in Cassazione, e quando non hanno altri argomenti cercano di contrabbandare comunque per illogicità o contraddittorietà ciò che è, semplicemente, diversa valutazione dei fatti, la Corte è, di regola, molto rigorosa nel censurare gli sconfinamenti. Nei loro confronti fioccano pertanto, giustamente, le valutazioni di inammissibilità dei ricorsi e, quindi, le conferme delle condanne.

Ma, si domanda Grosso,

Non vorrei che, quando a ricorrere siano i pubblici ministeri (contro le sentenze di assoluzione), le valutazioni divengano tuttavia più elastiche, più «comprensive». I dubbi mi sono venuti leggendo, ieri, le cronache della requisitoria del Procuratore Generale: pur centrata, ovviamente, sui concetti della «illogicità» e della «incongruenza», nonché della «mancata assunzione di prove decisive», essa mi è comunque parsa zeppa di riferimenti ai fatti e alle valutazioni dei fatti (il movente, il panico, la bicicletta, il capello trovato nella mano sinistra, i primi due gradini della scala, ecc.), profili che dovrebbero, in teoria, esulare dalle discussioni davanti al giudice di legittimità.

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