MILANO – Una persona omosessuale su quattro preferisce rimanere “invisibile” sul posto di lavoro per evitare discriminazioni. Se da sempre si sospettava, ora una ricerca dell’Arcigay l’ha messo nero su bianco. Così si è scoperto che negli ultimi dieci anni il 13% degli intervistati non ha ottenuto il lavoro perché gay. E ancora peggio è andata ai transessuali, per i quali la percentuale sale al 45%.
La ricerca dell’associazione, appena presentata a Roma, è la prima del genere in questo campo. I questionari compilati da persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender (Lgbt) sono state oltre duemila. Il 4,8% ha dichiarato di essere stato licenziato o ingiustamente non rinnovato per la sua identità sessuale, una percentuale che sale al 25% tra le persone trans.
«La discriminazione», ha dichiarato Raffaele Lelleri, sociologo e responsabile scientifico della ricerca, «colpisce direttamente una minoranza di lavoratori Lgbt. L’impatto indiretto è invece molto più ampio: secondo alcuni osservatori, esso è persino universale, visto che tutte le persone Lgbt si trovano, prima o poi, a scegliere se essere visibili o meno sul lavoro, ad anticipare le conseguenze del proprio coming out».
Il 19,1% ha dichiarato di essere stato trattato iniquamente sul lavoro in quanto omosessuale, e la percentuale sale al 45,8% delle persone trans da femminile a maschile e addirittura al 56,3% delle persone trans da maschile a femminile. «Una vera e propria emergenza», ha sottolineato Lelleri, «in cui vivono la maggioranza delle persone transgender, i quali vengono tuttora respinti o espulsi dal mercato».
Perché il 26,6% dei rispondenti si “mimetizzi” con i colleghi, è presto detto: per la maggior parte, si legge nello studio, questa decisione serve a evitare trattamenti sfavorevoli. Sembra andare meglio negli ambienti lavorativi con altre persone omosessuali o trans, dove tendenzialmente cresce la visibilità. Si teme insomma che il coming out possa interferire in maniera negativa sul lavoro, peggiorando la situazione.
In realtà, questa prospettiva non certo confortante non è confermata da chi ha fatto il passo di svelare la propria condizione: la maggiorparte ha infatti dichiarato che la propria situazione non sia sostanzialmente cambiata, o sia addirittura migliorata. Un’altra nota positiva: un intervistato su due reputa il presente migliore del passato e si dice ottimista per il futuro.
I commenti sono chiusi.