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I genitori di Chiara Poggi alla tomba: “Stasi condannato”…

di Marco Benedetto |14 Dicembre 2015 9:53

Alberto Stasi, di spalle, in Corte d’Assise ascolta la condanna a 16 anni, il 17 dicembre 2014

ROMA – Mentre Alberto Stasi entrava in carcere, i genitori della sua vittima, Chiara Poggi, erano al cimitero, per dare la notizia della condanna alla tomba.  Chiara Poggi aveva 26 anni quando fu uccisa. Si sono chiusi otto anni di indagini, processi, sentenze (cinque) per una vicenda che ha appassionato l’Italia.

Alberto Stasi ha passato la prima notte in cella, con altri due detenuti. Ci dovrebbe passare, stando alla sentenza di condanna a 16 anni di carcere per la uccisione di Chiara Poggi, il 13 agosto del 2007, fino al 2031, ma in Italia non si può mai dire. Oggi Alberto Stasi ha 32 anni, dovrebbe uscire sulla cinquantina, ancora giovane.
Prima di andare in carcere, Alberto Stasi ha pianto, “un pianto incontenibile, soltanto lacrime, nemmeno una parola. Lacrime senza ritegno e la disperazione di chi ha perduto la partita contro il futuro”, nel racconto di Giusi Fasano sul Corriere della Sera:
“Sembra di vederlo, con la sua borsa in spalla, stretto nel solito giaccone scuro mentre varca il portone del carcere di Bollate. Così è arrivato in cella. Sotto choc, assente”.
Racconta Giusi Fasano che chi ha potuto avvicinare Alberto Stasi
“lo ha visto scuotere la testa, gli ha sentito dire «non è giusto», come ripete da quando finì sott’inchiesta, ad agosto di otto anni fa. Visto dagli occhi di un ragazzo che si dice da sempre innocente nessun giorno dev’essere sembrato più ingiusto di ieri. […] La scelta del carcere non è stata né improvvisata né casuale. Bollate è il penitenziario modello, il luogo in cui la vita di un detenuto è un po’ più vita di quella che altri reclusi vivono altrove. I suoi legali avevano annunciato: «Se dovessero condannarlo si consegnerà lui stesso». E lui l’ha fatto poche ore dopo la sentenza, nel posto migliore possibile e non lontano da casa, cioè da sua madre”.
Dall’altra parte del campo, nella famiglia di Chiara Poggi, Riccardo Bruno racconta sul Corriere della Sera come,
“alle 3 e mezza del pomeriggio Rita e Giuseppe Poggi vanno a portare la notizia della condanna di Alberto a Chiara. Varcano l’ingresso del piccolo cimitero di Pieve Albignola, a pochi chilometri da Garlasco, nella fredda e spoglia campagna pavese, e scompaiono in uno dei vialetti laterali. Dopo mezz’ora escono quasi sollevati. «Ho parlato con mia figlia — si ferma per un attimo la signora Rita —. Le ho detto che è stata brava, che ce l’ha fatta»”.
Per i Poggi, il loro primo gesto dopo la sentenza che ha riconosciuto Alberto Stati colpevole di avere ucciso loro figlia,
“è stato quello andare a ringraziare Chiara, sicuri che sia stata lei a illuminare le scelte dei giudici romani. Un modo per pensarla ancora viva, una ragione per non smarrirsi nei ricordi.
“I Poggi hanno atteso a casa, nella villetta di via Pascoli dove la mattina del 13 agosto di 8 anni fa venne trovato il corpo della figlia, la sentenza che dopo 5 gradi di giudizio rischiava di non essere ancora definitiva”.
Ai giornalisti hanno detto:
“Siamo sollevati. Finalmente giustizia è stata fatta, quella che volevamo”.
Dicendolo, a Rita Poggi scappa un sorriso, garbato ma non dissimulato:
“Usa la parola «serenità» per definire come si sente adesso, anche se «nessuno ci restituirà nostra figlia». E aggiunge che questo «sarà il primo Natale vero dopo otto anni». Ha gli occhi lucidi, come il marito, è evidente che sono soddisfatti, ma stanno attenti a mantenere il senso della misura. «Non bisogna dimenticare che è una tragedia che ha colpito due famiglie. Noi abbiamo perso una figlia giovane, loro non l’hanno perso ma hanno avuto una brutta vicenda».
“L’altra villetta, quella degli Stasi, a meno di due chilometri in linea d’aria, è vuota. Alberto proprio in quei minuti si sta presentando ai piantoni del carcere di Bollate, e la mamma Elisabetta, l’unica rimasta dopo la morte del padre due anni fa, è con lui. I giornalisti chiedono ai Poggi se vorranno incontrarla in futuro. Loro si guardano negli occhi, una breve pausa: «Adesso è prematuro». La mamma di Chiara spiega che Alberto era «quasi come un figlio». Ma non ha dubbi che sia stato lui a portarle via la figlia. «Piano piano, con le indagini e con i processi, gli elementi sono usciti fuori e la Cassazione l’ha sancito»”.
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