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Genova: il fantasma black bloc rivive con gli ultras serbi nella notte maledetta di Cristoforo Colombo

di fmanzitti |14 Marzo 2011 3:15

L'arresto di Ivan, l'ultras serbo protagonista degli scontri

Qualcuno ha tirato fuori subito la “maledizione di Colombo”, quella leggenda secondo la quale nell’anniversario della Scoperta dell’America da parte del grande navigatore genovese, nella città della Superba, capita sempre qualcosa di tragico. E il giorno di Italia-Serbia, partita di qualificazione europea, la nazionale che torna a Genova dopo 12 anni, ben quattro giocatori sampdoriani e genoani con la maglia azzurra tutti insieme sul prato del “mitico” Luigi Ferraris, non è proprio il 12 ottobre?

Ma alla maggior parte degli spettatori del match e ai milioni di telespettatori attoniti davanti al video tra le 20,30 e le 23 del 12 ottobre 2010, 518 anni dopo la Grande Scoperta Colombiana, più che a quella leggenda hanno pensato al più recente assalto a Genova dei black bloc, durante il G8 dell’estate 2001, tragico mese di luglio, tre giornate calde, culminate con la morte del ragazzo genovese Carlo Giuliani, con le distruzioni inferte da quel blocco nero alla città dove i Grandi della terra si riunivano nella zona rossa blindata dall’allora ministro dell’Interno, lo sventurato Claudio Scajola.

E a cosa si poteva pensare se non ai black bloc, davanti all’immagine di quel tifoso terrorista serbo, passamontagna nero, maglietta nera, a cavalcioni per mezz’ora sulla rete di recinzione che separava il settore ospiti dalla Gradinata Nord dello stadio. Lui tagliava come un certosino la rete di acciaio per aprire un varco alle decine, centinaia, forse migliaia di presunti tifosi, terroristi, che alle sue spalle già sparavano candelotti fumogeni, già mostravano qual era lo scopo di quell’assalto: seminare il terrore mentre le squadre stavano entrando in campo, mentre i 24 mila spettatori volevano trasformare la partita in una festa.

Mostrare il pugno duro e la violenza di un irredentismo crudele e sfrontato, covato in quella fucina di odi, vendette e guerre nel cuore dei Balcani e capace di scavalcare controlli, divieti, barriere per mascherarsi da tifo sportivo e piombare di qua delle Alpi e degli Appennini, in riva al mare, nel ventre molle di quella città lunga e stretta con il campo di calcio in mezzo alle case, lungo quel fiume secco. Il fantasma dei black bloc, il loro arrivo impunito e incontrollato, sotto la maschera del tifo per una nazionale serba già contestata in patria, nè inseguita su e giù per il Continente, perchè trattata come una muta di cani rabbiosi imprendibili, ha fatto rivivere a Genova un pomeriggio e una notte di imprevista paura e di pesante memoria.

I serbi calati dalla pianura padana, non controllati ai confini, non fermati alle porte della città, come era avvenuto per i black bloc del G8, avevano già mostrato i loro denti di lupi balcanici ore e ore prima della partita, terrorizzando il centro della città, unendosi paradossalmente a un corteo di protesta dei lavoratori del teatro dell’Opera Carlo Felice in odore di chiusura, obbligando molti commercianti della centrale via XX Settembre a sbarrare i negozi. Proprio come nove anni e tre mesi fa, sullo stesso terreno, sullo stesso lastricato, quando i container piazzati dal ministro dell’Interno non avevano fermato il corteo dei duri che voleva assaltare la zona rossa del G8, in fondo a quella strada. E dopo, quando la partita stava avvicinandosi e la Genova tifosa di calcio si apprestava alla festa, che strada hanno preso i tifosi mascherati? La stessa del black bloc di allora, per raggiungere lo stadio stretto tra le valli genovesi e quel fiume secco che si chiama Bisagno.

Allora i black bloc avevano dato l’assalto al carcere di Marassi, alle spalle dello stadio e avevano osato incendiare la porta della casa di pena, facendo alzare le fiamme dietro la Gradinata Nord del Ferraris. Era stato il punto più alto del terrore di quei giorni e la paura aveva circondato lo stesso quartiere della notte della partita, con il blocco nero che poi fuggiva sulle alture attraverso scalinate che sono ripide come pareti di una montagna aspra, seminando bombe molotov come fossero confetti, incendiando auto e negozi.

I “neri” mascherati da tifosi serbi avevano già assaltato il pulmann della squadra con i loro colori, sparando un razzo dentro all’automezzo, ferendo il portiere della loro nazionale, reo di un autogol in una precedente partita, mostrando quei loro denti, ma nessuno pensava che il secondo assalto sarebbe stato dentro allo stadio, con lo scopo di fermare la partita.

Come nel 2001, le forze di polizia hanno accompagnato il corteo nero mescolato a quello dei 30 mila tifosi verso lo stadio, sicure che una volta in gradinata i duri si sarebbero limitati a tifare. Poliziotti e carabinieri incapaci di perquisire a fondo quella orda nera che portava dentro al Marassi lacrimogeni, petardi, cesoie, bastoni, spranghe e chissà quante altre armi. Come nel 2001 a Genova era entrato di tutto nell’armamentario dei violenti che avrebbero seminato la distruzione in molti quartieri, così nel 2010 dentro allo stadio sono entrati gli strumenti del terrore. E prima che le squadre scendessero in campo per le cerimonie di inizio del match, le intenzioni erano già chiare con l’apparizione plastica di quel boss che tagliava la rete, incitava, i suoi mostrava i denti al campo e i muscoli pieni di tatuaggi neri, teneva lontani gli steward schierati con le loro casacche gialle in un prato verde che stava per diventare inutile, di fronte a tifosi che incominciavano a non capire.

Perchè non li hanno fermati, perchè non li hanno seguiti, perchè non li hanno perquisiti, perchè la polizia serba, i servizi segreti non hanno avvertito, perchè l’intelligence non ha funzionato ed ora uno stadio, un pezzo di città, due squadre nazionali, tutto il circo intorno e senza esagerare un calcio intero è in scacco e gli ordini lì da quel black bloc tifoso serbo mascherato a cavalcioni della rete con la cesoia come la spada di un barbaro invasore? Tutto lo stadio se lo domandava e tutti quelli davanti alla televisione, che faceva fatica con i suoi speaker e i suoi commentatori leccati e pettinati, a sostituire il linguaggio di una cronaca sportiva a quello di un’invasione sfrontata, violenta e ricattatrice ma terribilmente abile, assistevano insieme a uno show infernale. Sdegnandosi. Stupèndosi.

Mancava il finale a questa terribile sequenza e non la si poteva trovare nella memoria ancora fresca del G8 con i cortei finiti e le rappresaglie della polizia nel carcere di Bolzaneto e nella scuola Diaz. Il finale rientrava nella scena del calcio, dello stadio e ai genovesi evocava un altro fantasma inquietante, quello dell’assassinio di “Spagna”, Carmelo Spagnolo, il giovane tifoso genoano accoltellato dagli ultrà milanisti della “banda del Barbour”, un’ora prima che incominciasse la partita Genoa Milan nel gennaio del 1990. Allora la partita non si giocò e i tifosi rossoneri restarono dentro alla loro gabbia sulle gradinate del Ferraris fino a notte fonda, fino a quando la polizia non trovò nelle tasche di uno di loro il coltello che aveva stroncato la vita di “Spagna”.

Il finale dell’assalto dei delinquenti serbi, la feccia di Karadzic, gli esaltati delle tre dita, il segno cetnico che unisce la loro folle esaltazione, è stato simile. Stadio blindato, gabbia degli ospiti blindate e la polizia finalmente in movimento per scovare i responsabili della note di terrore, i “nemici” passati al setaccio dopo essere stati solo fronteggiati in modo surreale dai caschi blu e dagli scudi antisommossa nel prato verde, durante le violenze che hanno fermato il match. Con i giocatori timidamente sul bordo del campo, con la polizia schierata invano, con gli idranti sfoderati chissà perchè, con i petardi rossi e gialli che volavano in campo, con gli inni delle due nazionali soffocati dal baccano dei facinorosi e dalla rivolta sonora dei venticinquemila tifosi italiani, con le consultazioni tra arbitro, delegati Uefa, commissari di campo e alti papaveri della FGCI, l’altra sera, notte del 12 ottobre, festa maledetta di Cristoforo Colombo, è andata in scena uno degli spettacoli di impotenza più eclatanti che l’ Europa calcistica abbia mai visto.

“Mai visto, mai neppure immaginata una scena del genere” – erano i commenti degli uomini del calcio, gli allenatori, i giocatori alcuni in lacrime come il serbo Stankovic, giocatore dell’Inter miliardaria, che è corso a fare il segno del “tre cetnico” sotto i suoi tifosi-delinquenti, nel tentativo di calmarli ma che ha scoperto di colpo qual è la violenza che cresce nella parte marcia del suo popolo e che il suo mondo dorato di calciatore mondiale non contempla. I black bloc delle violenze di strada del G8 nel 2001, processati e condannati a Genova sono stati alla fine 14, dopo un’istruttoria fiume che ha esaminato migliaia di foto e filmati. Quanti saranno i tifosi serbi a pagare la notte di Colombo del 2010 a Genova?

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