Genova. Jolly Marrone gemella Jolly Nero urtò molo. Giudice: Messina paghi danni

Pubblicato il 28 Agosto 2014 - 07:48 OLTRE 6 MESI FA
Genova. Jolly Marrone gemella Jolly Nero urtò molo. Giudice: Messina paghi danni

Genova: porto senza pace

GENOVA – Un incidente nel porto di Genova avvenuto nel 2000, con una nave, la Jolly Marrone, dello armatore Messina, finita contro un molo della Ilva durante una manovra, è stato all’origine di una lunga vicenda giudiziaria, in sede civile, che si è conclusa, in piena estate con la condanna dei Messina a tenersi i danni e non rivalersi sulla compagnia dei rimorchiatori.

Nel dare la notizia sul Secolo XIX, Matteo Indice sottolinea una serie di coincidenze con un altro più clamoroso incidente, quello che vide un’altra nave dei Messina, la Jolly Nero, finire contro un’altra banchina del porto, quella volta, il 7 maggio 2013, con 4 morti e 4 feriti.

La battaglia giudiziaria, riassume Matteo Indice,

“si protraeva dal 2000: formalmente la compagnia Messina è stata condannata a risarcire proprio i rimorchiatori, ma dietro la vicenda c’è molto di più. La Jolly Marrone in uscita dal porto finì contro i moli dell’Ilva, dopo che il cavo d’un rimorchiatore si spezzò e soprattutto le macchine del cargo non si riavviarono.

Secondo i Messina, aldilà delle responsabilità dell’equipaggio, all’origine dell’incidente vi fu la cattiva manovra dei rimorchiatori stessi, che non riuscirono a guidare correttamente lo scafo”.

Quel ragionamento, nota Matteo Indice,

“è un caposaldo anche delle memorie difensive presentate nell’inchiesta per omicidio colposo plurimo tuttora in corso alla Procura di Genova. Non solo: la contesa con i rimorchiatori è da sempre una delle più aspre fra quelle che si combattono sui moli genovesi”.

Era il 6 novembre 2000,

“giorni di maltempo, a Genova, il mare è grosso e il vento forte. Il comandante della “Marrone” decide comunque di uscire dal porto da Ponente ma, una volta arrivata la nave alla foce del Polcevera, il motore si blocca, non si riavvia nel passaggio da una “marcia” all’altra”,

dalla marcia avanti a indietro.

È la stessa cosa, nota Matteo Indice, che è accaduta nel maggio 2013, quando la “Jolly Nero”

“ha mantenuto l’abbrivio all’indietro poiché l’equipaggio non era riuscito a riportare il “Burmeister & Wein” in «marcia avanti» (per farlo è necessario spegnerlo e, appunto, farlo ripartire”.

Nel 2000 la nave

“urta una gru, i rimorchiatori non riescono (oggi il tribunale dice più precisamente che non potevano) a rimediare, s’innesca una catena di danni gravi e solo per caso non ci sono feriti”.

Poi si apre un contenzioso che dura 14 anni. Quello

“fra Ilva e Messina si risolve con un pagamento da parte degli armatori.

“Ma la compagnia chiama in causa ancora i rimorchiatori, sostenendo che la colpa fosse la loro. E ricordando, allora come oggi, che la rottura d’uno dei loro cavi durante l’evoluzione è in qualche modo sintomatica d’una certa inadeguatezza.

“Il giudice Pietro Spera, dopo un’interminabile battaglia a colpi di perizie e studi e testimonianze, mette infine un punto fermo.

Primo: «Il fatto che venne decisa la partenza nonostante le proibitive condizioni meteo, giustifica la conclusione secondo cui l’incidente fu causato da inesatte valutazioni del comandante Antonio Graziani».

Secondo: «Ci furono errori nell’utilizzo e nella conoscenza delle dotazioni di bordo e del servizio di rimorchio disponibile, e mancanza di continuità nelle operazioni di comando e controllo… La nave avrebbe dovuto chiedere l’aiuto di un numero maggiore di rimorchiatori, che avrebbero fornito un livello di sicurezza adeguato»”.

Tradotto:

“Se le imbarcazioni di sostegno non ce l’hanno fatta, è solo perché il comandante scelse di utilizzarne due e non tre o quattro.

E il mancato avvio del motore?

«Circostanza pacifica… Il comandante avrebbe dovuto quantomeno accertarsi che le macchine, in caso di necessità, fossero in grado di partire».

La rottura del cavo è inoltre ritenuta «ininfluente» e la responsabilità, chiude il magistrato, è «esclusivamente» dei Messina.

Che dunque non possono rivalersi sui rimorchiatori e devono pure pagare (insieme all’Ilva che è uscita dalla causa, ma l’ha originata) spese legali per circa centomila euro”.