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Giovanni Brusca chiede i domiciliari. Procura Antimafia ha detto sì, decide la Cassazione

di redazione Blitz |7 Ottobre 2019 15:28

Giovanni Brusca condotto in carcere dopo la sua cattura, il 21 maggio 1996 (Foto Archivio Ansa)

Giovanni Brusca condotto in carcere dopo la sua cattura, il 21 maggio 1996 (Foto Archivio Ansa)

ROMA – Per la Procura Nazionale Antimafia, Giovanni Brusca può terminare la sua pena ai domiciliari. Ma il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha detto no. Per questo il killer di Capaci, l’uomo che azionò la bomba che uccise Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, e che ordinò di sequestrare e poi uccidere e sciogliere nell’acido il figlio del pentito Santo Di Matteo, si è rivolto alla Cassazione. 

La prima sezione penale della Suprema Corte si riunisce oggi per valutare il ricorso presentato dai suoi legali contro l’ultimo dei no agli arresti domiciliari chiesti dall’ex boss mafioso: il tribunale di sorveglianza di Roma, questa la tesi dei difensori, nel marzo scorso non avrebbe tenuto nella giusta considerazione le valutazioni della procura nazionale antimafia favorevoli alla concessione. A scriverlo è il Corriere della Sera.

Per la procura antimafia, infatti, “il contributo offerto da Brusca nel corso degli anni è stato attentamente vagliato e ripetutamente ritenuto attendibile da diversi organi giurisdizionali, sia sotto il profilo della credibilità soggettiva del collaboratore, sia sotto il profilo della attendibilità oggettiva delle singole dichiarazioni”. E comunque “sono stati acquisiti elementi rilevanti ai fini del ravvedimento del Brusca”: le sentenze che hanno riconosciuto “la centralità e rilevanza del contributo dichiarativo del collaboratore”, e “le relazioni e i pareri sul comportamento di Brusca in ambito carcerario e nel corso della fruizione dei precedenti permessi”.

Brusca, in questi 23 anni di detenzione, “ha già usufruito di oltre 80 permessi premio – ricorda il quotidiano – Ogni volta esce di prigione per vari giorni e resta libero 11 ore al giorno (la sera deve rientrare a casa). Dando prova della affidabilità esterna certificata dagli operatori del carcere romano di Rebibbia”. Ma il tribunale di sorveglianza ha continuato a negare la detenzione domiciliare “ritenendo che per un mafioso del suo calibro, dalla ‘storia criminale unica e senza precedenti’, responsabile di ‘più di cento delitti commessi con le modalità più cruente’, che in virtù della collaborazione è stato condannato a 30 anni di prigione anziché all’ergastolo, il ravvedimento dev’essere qualcosa che va oltre l’aspetto esteriore della condotta”. 

Fonti: Ansa, Agi, Corriere della Sera

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