Giuseppe Riina, figlio del boss: “Voglio l’oblio. Ma sono fiero di mio padre”

PADOVA – “Dimenticatevi di me. Così un giorno potrò tornare davvero libero”: Giuseppe Salvatore Riina chiede l’anonimato. Cosa non facile per un uomo che di cognome fa Riina. E infatti Giuseppe Salvatore è il figlio di Totò,  il “Capo dei Capi” di Cosa Nostra, per anni l’uomo più potente della mafia siciliana. Vuole essere dimenticato ma non per vergogna: “Per me è un orgoglio chiamarmi Riina. È un cognome che mi è stato dato da due genitori capaci di insegnarmi tante cose: i valori, la morale. Io sono onorato di essere figlio di Totò Riina e Antonietta Bagarella”.

Per cercare l’oblio Giuseppe Riina si è trasferito a Padova. Vive in regime di sorveglianza speciale dopo aver scontato una condanna a otto anni e dieci mesi per associazione mafiosa. Non può avere una patente né lasciare il Comune, non può frequentare pregiudicati, deve rientrare a casa ogni giorno entro le 20 e non uscire mai prima delle 7.

“Praticamente tutte le sere le forze dell’ordine vengono a controllare se sono in casa e devo firmare in questura tre volte la settimana”, racconta al Corriere della Sera. Gli manca la Sicilia, ma “ora sto bene a Padova. Voglio ricostruirmi una vita, se non fosse stato questo il mio scopo me ne sarei rimasto al mio paese. Ma in Sicilia non ci sono opportunità. Di lavoro, intendo. E poi lì non è facile per la mia famiglia: non lasciano mai tranquillo un Riina. Per questo ho cercato un posto per ricominciare. Mia madre era d’accordo: anche se le manco ha capito che qui per me ci sono maggiori possibilità”.

Nega di essere ricco: “Vivo da solo in un modesto appartamento, e tutti i mesi pago l’affitto”. Ma quando il cronista gli fa notare che “indossa scarpe Richmond, una giacca Trussardi, lui risponde: “Un uomo deve vestirsi bene, con dignità. Come tutti i ragazzi della mia età mi piacciono i bei vestiti e li pago di tasca mia, con quello che guadagno lavorando onestamente”.

Al momento è impegnato nella comunità Famiglie contro l’emarginazione e la droga. “Mi occupo di segreteria e poi, una volta al mese, distribuisco i viveri alle persone indigenti. Fino allo scorso anno ero anche iscritto all’università, ma ora ho lasciato: non riuscivo a lavorare rimanendo al passo con gli esami. A me va bene così: non sono venuto a Padova per laurearmi, il mio unico obiettivo è costruirmi una nuova vita”.

Sulla politica critica la Lega Nord, che vorrebbe che lui se ne andasse da Padova: “Non la considero neppure un partito”. E sul sindaco di Corleone, che ha detto che “non è più il benvenuto”, dice: “La politica purtroppo, invece di fare il bene dei cittadini, fa campagna elettorale. Se rappresenti lo Stato, dovresti almeno fidarti del fatto che lo Stato sia in grado di vigilare sulle persone sottoposte a sorveglianza speciale. Credo nello Stato italiano. Poi, posso non condividere alcune delle leggi, ma l’importante è che le rispetto. Non mi riconosco invece in alcun partito politico e quindi non voto”.

 Suo padre è in carcere duro da vent’anni. Le manca? “Non lo vedo da undici anni, certo che mi manca. In famiglia sappiamo benissimo che mio padre non uscirà mai vivo dal carcere e dal 41 bis. Uscirà “con i piedi in avanti”, perché purtroppo in Italia funziona così: tutto ciò che di brutto è accaduto va fatto pagare a Totò Riina, solo perché lui non sarà mai un pentito. Ma le sue condizioni di salute sono serie, e uno Stato democratico dovrebbe prendersi cura dei propri detenuti. Non lo fa. Eppure mio padre si sta facendo il carcere con dignità, nonostante la malattia. Vorrei solo che venisse curato adeguatamente”.

Non ha mai pensato che, se solo si fosse pentito, forse suo padre avrebbe potuto starle vicino? “Ognuno ha la sua storia, a un certo punto nella vita si incontra un bivio e si sceglie la propria strada. Lui l’ha scelta e ha deciso di percorrerla fino alla fine, dal primo giorno fino alla morte, senza facili vie di scampo. Questo è un Stato che permette a delle persone di comportarsi da criminali per anni e poi, quando le arresta, basta che si dichiarino pentiti e possono uscire di galera. È un’assurdità”.

Ha mai letto i libri di Roberto Saviano? “Chi è? (Ride) No, non ho mai letto Gomorra, certi libri non mi interessano. Ho visto il film quando è stato trasmesso in tv, perché quella sera non davano nulla di meglio. Secondo me racconta ciò che fa comodo raccontare, e la realtà che descrive non è quella vera. Magari Saviano è a conoscenza di fatti che ignoro, è possibile. Ma a molti di quei fatti io non credo”.

Ultima domanda: cos’è, per lei, la mafia? “No, a questa non rispondo. Sarebbe inutile: qualunque cosa dica verrebbe strumentalizzata”.

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