Green pass sul posto di lavoro, cosa succede se non ce l’hai: dalla sospensione senza stipendio al licenziamento

La strada verso l’obbligo del Green pass sul posto di lavoro sembra spianata: il nuovo decreto potrebbe e dovrebbe vedere la luce già domani, giovedì 16 settembre. La conferma sul Green pass obbligatorio per i lavoratori arriva da Maristella Gelmini, ministro per gli Affari Regionali che a Radio Rai dice: “Il Governo ha intrapreso una strada chiara, il Consiglio dei ministri di domani sarà sicuramente un momento importante”. Quindi assicura che “si va verso l’obbligo del certificato verde non solo per i lavoratori del pubblico impiego ma anche per quelli del settore privato”. 

Chi controlla il Green Pass al lavoro

A poche ore dal decreto, restano però diversi nodi da sciogliere. In primis c’è da stabilire chi controlla il certificato verde. Se i medici aziendali, attraverso l’Anma, si sono sfilati, ecco allora che, qualora l’obbligo di Green pass sul posto di lavoro dovesse effettivamente entrare in vigore – si pensa a metà ottobre -, potrebbe essere un addetto dell’azienda la persona incaricata di verificarlo. Per quanto riguarda la privacy, l’azienda non dovrebbe sapere se il dipendente è vaccinato, guarito dal Covid o ha eseguito un tampone. 

Le sanzioni per chi non ha il Green pass

Secondo punto sono le sanzioni. La soluzione più probabile per chi non è munito di Green pass, potrebbe essere la sospensione senza stipendio, come anche la multa. Mentre se la prestazione si può offrire da remoto e la norma non esclude il lavoro agile, il datore di lavoro deve concedere lo smart working. Se però il datore non riesce a ricollocare il lavoratore senza Green pass può arrivare il licenziamento per un motivo oggettivo. Potrebbe accadere anche il dipendente entri in azienda senza certificato verde. In questo caso, oltre al lavoratore, anche l’azienda può incorrere in sanzioni qualora sia consapevole dell’infrazione.

Un altro nodo da sciogliere è la questione del tampone per i lavoratori non vaccinati. I sindacati sostengono che il tampone non può diventare un costo per il lavoratore. Confindustria però dice no: “Il costo non può essere a carico delle imprese, altrimenti si scoraggia la vaccinazione”. Nella scuola la gratuità dei tamponi è stata garantita solo ai lavoratori fragili.

 

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