Per gli inquirenti, Matteo Messina Denaro aveva affari in ogni parte d’Italia, da nord a sud, spesso in società del settore alimentare dove venivano riciclati e puliti i proventi delle attività criminali trasformandoli in soldi puliti. Soldi che usava anche per sostenere la sua latitanza. Molti dei suoi beni confiscati, tra cui ad esempio un intero parco eolico, adesso solo nelle mani dello Stato, eppure per gli inquirenti si tratta solo una parte dei beni che erano nella sua disponibilità, punta di un iceberg ancora sommerso.
Il patrimonio di Messina Denaro
Proprio lo storico delle confische e dei sequestri operati dalle forze dell’ordine a lui e ai suoi riferimenti consente di quantificare a quanto potesse ammontare il patrimonio costruito negli anni da Matteo Messina Denaro.
Se è infatti impossibile ad oggi conoscere effettivamente ciascuno dei beni mobili e immobili a lui collegabili, è invece certo il valore di ciò che gli è stato portato via dallo Stato: proprietà che, messe insieme, costituiscono un tesoretto tra i quattro e i cinque miliardi di euro. I carabinieri che lo hanno arrestato hanno riferito che aveva al polso al momento dell’arresto un orologio del valore tra 30mila e 35mila euro.
Il business
Uno dei principali business nelle mani dei fedelissimi del boss eè stato rappresentato negli ultimi anni dal gioco online. Secondo quanto si legge nell’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia), il settore “ben si presta come strumento di riciclaggio dei capitali illeciti oltre che come fonte primaria di guadagno al pari del traffico di stupefacenti, delle estorsioni, dell’usura ecc”.
Il modus operandi era sempre lo stesso: anche questo settore veniva sfruttato attraverso estorsione ai danni delle agenzie di scommesse, oppure controllando le stesse attraverso l’utilizzo di infiltrati. Un dettaglio che evidenzia al meglio la nuova natura economico-imprenditoriale della Cosa nostra trapanese, attitudine che ha portato la criminalità organizzata a muoversi in ambiti diversificati e innovativi, fino a lavorare, sempre tramite prestanome, per richiedere finanziamenti comunitari e riacquistare all’asta beni che le erano stati sequestrati.
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