Coronavirus, scelta l’app per il tracciamento dei contagi: si chiamerà Immuni. Come funziona

ROMA – L’app italiana per il tracciamento del contagio del coronavirus “è questione di ore” e si dovrebbe chiamare Immuni. Il Governo “sta accelerando” e la scelta è stata formalizzata venerdì 17 aprile con la firma del contratto da parte del Commissario Domenico Arcuri. Il sistema dovrebbe essere testato prima in alcune regioni pilota per poi estendersi.

Iniziano a delinearsi più chiaramente i contorni del sistema di ‘contact tracing‘ italiano, che dovrebbe aiutare a gestire la ‘fase 2‘ della ripresa. Mentre l’Europa ha dettato le regole per l’app: anonimato e niente geolocalizzazione, sì a bluetooth e volontarietà. Criteri che vedono il plauso del Garante Privacy Antonello Soro.

L’app sarà “un pilastro importante nella gestione della fase successiva dell’emergenza”, la sperimentazione sarà in alcune regioni pilota, poi verrà estesa, ha spiegato Domenico Arcuri, Commissario per l’emergenza, che dovrebbe firmare il contratto e che auspica “una massiccia adesione volontaria dei cittadini”. La scelta convergerebbe sull’applicazione messa a punto dalla società milanese Bending Spoons in partnership con il Centro Diagnostico Santagostino di Luca Foresti e Jakala.

L’app ha partecipato alla selezione del ministero dell’Innovazione e sarebbe la prescelta tra le oltre 300 proposte arrivate. Si basa sul bluetooth, principio cardine su cui si muove l’Europa.

App Immuni, come funziona

Come riporta Il Foglio in una sua esclusiva, la app Immuni – nome che potrebbe cambiare – potrebbe essere testata nella fabbrica Ferrari di Maranello, prima della diffusione al pubblico.

La app si potrà scaricare liberamente ed è composta da due parti. La prima, e la più importante, è un sistema di tracciamento dei contatti che sfrutta la tecnologia Bluetooth. In questo modo, la app conserva sul dispositivo di ciascun cittadino una lista di codici identificativi anonimi di tutti gli altri dispositivi ai quali è stata vicino entro un certo periodo.

Quando un cittadino viene sottoposto al test per il coronavirus, un operatore sanitario dovrà preoccuparsi di chiedergli se ha installata la app. L’operatore sanitario sarà in possesso di una app differente, che genera un codice da dare al cittadino. Con questo codice, il cittadino può caricare su un server i dati raccolti dalla sua app, compresa la lista anonima delle persone a cui è stato vicino. Affinché l’operazione sia efficace, il caricamento deve avvenire su cloud, in maniera protetta.

A quel punto, il server su cloud calcola per ogni identificativo il rischio di esposizione al coronavirus sulla base di criteri come la vicinanza fisica e la durata temporale del contatto. In seguito, il server genera una lista degli utenti più a rischio, ai quali è possibile inviare una notifica sullo smartphone.

Il contenuto della notifica dovrà essere deciso dalle autorità sanitarie, potrebbe chiedere all’utente di autoisolarsi o di contattare i numeri appositi per l’emergenza. Anche se non è prevista una forma di tracciamento tramite gps, implementarla dovrebbe essere un’operazione tecnicamente facile se le autorità sanitarie lo richiedessero. 

La seconda funzione della app è un diario clinico, nel quale a ciascun utente verranno chieste alcune informazioni rilevanti (età, il se*so, presenza di malattie pregresse, assunzione di farmaci) e che dovrebbe essere aggiornato tutti i giorni con eventuali sintomi e novità sullo stato di salute. Il diario rimarrà privato, ma potrebbe essere utile agli utenti per tenere sotto controllo l’evolversi del loro stato di salute e per agire più prontamente in caso di sviluppo di sintomi.

Anonimato e niente geolocalizzazione, sì a bluetooth e volontarietà

Proprio oggi la Commissione Ue ha dettato infatti le regole per il sistema di tracciamento: anonimato e niente geolocalizzazione, sì a bluetooth e volontarietà. “I Paesi Ue stanno convergendo verso un approccio comune” con “soluzioni che minimizzano il trattamento dei dati personali”, scrive l’Europa nel documento stilato oggi in collaborazione con i governi.

Oltre ai requisiti di volontarietà e interoperabilità tra Stati, già ribaditi, l’Ue si sofferma in particolare sulla tecnologia giudicata più idonea per le app di tracciamento, cioè il bluetooth che deve “stimare con sufficiente precisione” (circa 1 metro) “la vicinanza” tra le persone per rendere efficace l’avvertimento se si è venuti in contatto con una persona positiva al Covid-19.

“I dati sulla posizione dei cittadini non sono necessari né consigliati ai fini del tracciamento del contagio” sottolinea Bruxelles, precisando che l’obiettivo delle app “non è seguire i movimenti delle persone o far rispettare le regole” perché questo “creerebbe rilevanti problemi di sicurezza e privacy”. Per mantenere l’anonimato, è previsto che le app utilizzino un ID (codice d’identificazione utente, ndr) “anonimo e temporaneo che consenta di stabilire un contatto con gli altri utenti nelle vicinanze”.

In Europa esiste già un progetto che soddisfa questi criteri, su cui stanno convergendo Francia e Germania. Si chiama Pepp-Pt (Pan-European Privacy-Preserving Proximity Tracing) è stato messa in piedi da un gruppo di 130 scienziati e 32 fra aziende e istituti di ricerca di 8 Paesi (tra cui la Fondazione ISI di Torino). Tra i partner del progetto c’è Vodafone e Bending Spoons. (fonte ANSA)

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