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Inchiesta “Rimini Yacht”: in manette quattro finanzieri

di Maria Elena Perrero |14 Dicembre 2010 22:56

In cambio di denaro avrebbero messo in piedi una verifica fiscale ”addomesticata” per nascondere lo stato di insolvenza della Rimini Yacht, società poi fallita e oggi al centro di due indagini a Bologna, sulla bancarotta, e Rimini, sul fatto che decine di imbarcazioni sono state cedute a più proprietari con immatricolazioni fittizie.

Per l’accusa la ‘certificazione’ dei conti in regola avrebbe permesso di avere rapporti con le banche, o anche di vendere la stessa società. Per quella verifica ‘ammorbidita’ due tenenti colonnelli e due marescialli della Guardia di Finanza di Bologna sono agli arresti domiciliari.

E’ l’ennesimo passo di un’indagine segnata a luglio dal suicidio dell’ex generale della finanza Angelo Cardile (membro del cda di Rimini Yacht e considerato il tramite tra società e investigatori ‘infedeli’). Cardile si sparò mentre i finanzieri che indagavano su lui e sui colleghi gli perquisivano casa.

I domiciliari sono finiti hli ufficiali Enzo Di Giovanni, 45 anni, e Massimiliano Parpiglia, 40, entrambi 40 anni (tutti al tempo dei fatti contestati al nucleo di polizia tributaria, da luglio trasferiti ad incarichi non operativi).

Ordinanza di custodia, ma in carcere, anche il presidente della Rimini Yacht, Giulio Lolli, 45 anni, che però è irreperibile da maggio. Domiciliari pure per due consulenti della società, il ragioniere Alberto Carati, 42 anni, e il commercialista Giorgio Baruffa, 60 anni. Altre quattro persone sono indagate a piede libero. Per i sette l’accusa è corruzione, finalizzata alla rivelazione di segreto d’ufficio.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti, nel 2008 era già chiaro agli amministratori che la società non navigava in buone acque. Lolli e consulenti si accordarono quindi, grazie a Cardile, con gli ufficiali per far fare la verifica. I due riuscirono ad inserire l’azienda nella programmazione dei controlli, Di Giovanni nominò Parpiglia direttore dell’accertamento, e insieme individuarono i due marescialli per la verifica ‘controllata’.

I finanzieri comunicarono addirittura alla società la data di inizio dei controlli. Tutto per denaro: secondo l’accusa ci fu una ”promessa accettata” di 200-300 mila euro. Il pm ritiene che ne siano transitati solo 100 mila, ma prove certe del passaggio del denaro non ce ne sono. Il gip, però ha accolto la ricostruzione della procura (con intercettazioni, accertamenti e testimonianze) ritenendo che ci sia la ‘prova logica’ del passaggio.

Ma ci furono anche cene assieme in ristoranti, e un orologio Cartier da 7.000 euro dato a Parpiglia. Grazie a quei soldi, per l’accusa, gli indagati ‘non videro’ nella sede operativa bolognese della società (costituita ad hoc perché quella riminese era in realtà un appartamento di Lolli) una cassetta piena di matrici di assegni verso banche del Titano, non segnalarano prove dell’appropriazione indebita di due barche, non videro un giro di false fatture.

Oltre alla corruzione, la procura bolognese competente sulla bancarotta (Rimini indaga invece sulla doppia vendita imbarcazioni) imputa a Lolli anche la bancarotta per distrazione in concorso con i quattro indagati a piede libero per 5,38 milioni e con Baruffa per 380 mila euro.

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