ROMA – C’è Silvia, studentessa triestina di 28 anni, che ha conosciuto l’islam grazie ad un amico marocchino. C’è Asmaa, ex cattolica praticante di 50 anni, che gira con il velo integrale e dopo i fatti di Parigi ha paura e vuole andare a vivere in Qatar. Asmaa come Elena Hayam Murgia, sarda di 40 anni che vive a Milano, ha scelto l’islam salafito, quello più puro (o più estremo), praticato nei Paesi del Golfo come l’Arabia Saudita. E poi ci sono Luigi Ammar De Martino e Paolo Jafar Rada, che hanno scelto l’Islam sciita praticato in Iran e hanno come guida l’ayatollah Khomeini. Sono i ritratti di alcuni degli italiani convertiti all’Islam tratteggiati su La Stampa da Karima Moual, che ha raccolto le loro testimonianze.
Come quella di Asmaa P., italiana di 50 anni, che indossa il niqab (il velo integrale) e per paura di rappresaglie anti-islamiche non esce di casa senza il marito:
“Da sempre sono stata una cattolica praticante. Poi è arrivato un momento nella mia vita in cui ho sentito che la mia religione non era abbastanza. Fu in quel momento che ho iniziato un percorso di ricerca spirituale. Ho letto di tutto, finanche il buddismo. Quando nel 2005 mi sono convertita, l’islam era come il demonio. C’era stato da poco l’attentato alle Torri Gemelle. L’attenzione verso l’islam era forte, soprattutto in una visione negativa. Fu in quel momento che la mia curiosità si accese verso quella religione. Volevo capire cosa c’era davvero di cattivo. Dopo due anni di studi e ricerche abbracciai l’Islam, io e anche mio marito. Adesso vivo ormai quasi reclusa in casa dopo i fatti di Parigi, perché continuo a subire minacce e insulti. Uno ha cercato anche di investirmi con la macchina. Ormai col Niqab esco solo in compagnia di mio marito”.
Asmaa non è sola ad indossare il niqab. Anche Elena Hayam ogni tanto lo porta:
“Certo, non è obbligatorio ma è consigliato soprattutto nei periodi di Fitna”, ovvero un periodo di prove alle quali è sottoposto il genere umano; è molto forte in Occidente con la sua strumentalizzazione del corpo della donna.
Silvia, invece, adesso porta il velo semplice, ma in futuro “non escludo di metterlo”, dice alla Stampa.
Queste tre donne seguono l’islam salafita, il più conservatore. Altri hanno scelto quello sciita. Come Paolo Jafar Rada, che dice di aver trovato la propria guida nella figura di Khomeini,
“colui che ha ricondotto sulla via maestra”. Perché la Chiesa, secondo Jafar, ha perso quando si è arresa alla modernità andando verso l’uomo invece che verso Dio.
Come Jafar anche Matteo Ali Scalabrin, 38 anni, di Venezia, ha scelto l’islam sciita, e lo ha fatto grazie a sua moglie, Rachida.
“La mia vita è cambiata in meglio, con l’Islam. Ormai sono musulmano da 16 anni, abbiamo due figli, mia moglie ha due lauree, lavora in Italia e se in Marocco portava il velo qui in Italia lo ha tolto. Io cerco di seguire tutti i precetti islamici, ma sto alla larga dalle interpretazioni dell’Islam hanbalita e salafita, che sono il vero problema per la riforma dell’Islam perché non attualizzano i precetti islamici, non dividono il testo dal contesto”.
Stesso giudizio arriva da Luigi Ammar De Martino, 78 anni, napoletano e sciita:
“Mi convertii all’Islam nell’83, ma prima fu una conversione politica, alla rivoluzione in Iran che portò, attraverso il referendum del ’79, alla Repubblica islamica. Io, che ero un militante politico peronista, fui colpito dalla storia di quel popolo perché era contro l’imperialismo occidentale e il social imperialismo sovietico. La miscredenza e il materialismo contro una fede e un messaggio. Nell’Islam non esiste divisione tra religione e politica, perché in fondo cosa non è di Dio se non tutto”.
E quindi anche lui, come i sunniti e i salafiti, sostiene l’importanza della Sharia.