Istat: in crisi il 15% delle famiglie, allarme per giovani e donne

Il peggio è quasi passato, la ripresa è in vista, ma le famiglie stentano ad arrivare alla fine del mese e sempre più giovani sono allo sbaraglio: almeno in 2 milioni non studiano e non lavorano e spesso anche gli over 30 sono di fatto costretti a vivere con i genitori. Non va meglio per le donne, l’occupazione femminile è scesa di 12 punti rispetto alla media europea.

È questa la fotografia dell’Italia scattata dal Rapporto annuale 2009 dell’Istat. Se sul fronte economico dovremmo presto vedere i primi miglioramenti, c’è un’eccezione, quella del settore delle costruzioni che restano a picco, in Italia così come in altri Paesi europei quali Francia e Spagna. Mentre la pressione fiscale sale e il potere d’acquisto scivola giù, a soffrire della crisi oltre agli italiani sono gli stranieri, per i quali è doppiamente difficile trovare un lavoro.

FAMIGLIE IN CRISI Oltre il 15% delle famiglie vive in condizioni di disagio economico, con una percentuale che supera il 25% nel Mezzogiorno; una su tre non riesce a sostenere spese impreviste, quasi una su due non può permettersi una settimana di ferie lontano da casa, mentre ci si indebita sempre più. La crisi ha colpito le famiglie che già stavano peggio, tanto che la maggior parte (il 60%) di quelle in condizioni di disagio economico lo era già nel 2008. Da un lato, infatti, la percentuale delle cosiddette famiglie ‘deprivate’ risulta essere nel 2009 pari al 15,3%, un valore sintetico sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente.

Tra il 2008 e il 2009 si nota come sia cresciuto il numero delle famiglie indifese nel far fronte a spese impreviste (passate dal 32% al 33,4% nella media nazionale), quelle in arretrato col pagamento di debiti diversi dal mutuo (dal 10,5% al 13,6% di quelle che hanno debiti) e quelle che si sono indebitate (salite dal 14,8% al 16,4%). Allo stesso modo sale al 40,6% (dal 39,4% del 2008) la quota di famiglie per cui una settimana di ferie in un anno lontano da casa è solo un miraggio. Ma non manca neppure chi, allo stremo, dichiara di non aver avuto avuto almeno una volta nel corso dell’anno soldi per acquistare cibo: la media risulta pari al 5,7% (dal 5,8% del 2008) ma al nord si sale dal 4,4% al 5,3%. E ancora: cala leggermente la quota di famiglie che non può permettersi di riscaldare adeguatamente l’abitazione (10,7% dall’11,2% del 2008), benché – viene rilevato – i prezzi al consumo del gas e dei combustibili liquidi siano diminuiti rispettivamente dell’1,5% e del 20%. Si riduce anche la percentuale di famiglie che riferisce di essere in arretrato con il pagamento del mutuo (dal 7,6% al 6,4%) e con il pagamento dell’affitto (dal 14% al 12,5% del totale in affitto). Scende, infine, dal 17,3% al 15,5% la quota dei nuclei familiari che dichiara di arrivare con “molta difficoltà” a fine mese. L’acquisto degli abiti necessari resta invece difficile per il 17,1% delle famiglie, in calo rispetto al 18,5% dell’anno precedente; per l’8,7% (dall’8,3%) lo sono le spese per i trasporti.

DALL’UNIONE EUROPEA 400 MLD ALLE FAMIGLIE Nel biennio 2008-2009 i paesi europei hanno destinato risorse per circa 400 miliardi di euro, ossia il 3% del Pil dell’Ue, a imprese e famiglie. Secondo l’Istat la recessione ha avuto una durata “relativamente breve” – circa un anno, tra la primavera 2008 e la primavera 2009 – anche grazie ad un intervento di “contenimento senza precedenti da parte delle autorità di governo”. Dall’altro, tuttavia, sottolinea ancora il Rapporto, le misure anti-crisi hanno spinto in alto la spesa e provocato “un notevole peggioramento a medio termine dei conti pubblici”.

ALLARME GIOVANI L’Italia ha il più alto numero di giovani che non lavorano e non studiano. Si chiamano Neet (Non in education, employment or training) e nel nostro paese sono oltre 2 milioni. Per questo, ha il primato europeo. Hanno un’età fra i 15 e 29 anni (il 21,2% di questa fascia di età), per lo più maschi, e sono a rischio esclusione.

Questi giovani sono coinvolti nell’area dell’inattività (65,8%). Il numero dei giovani Neet è molto cresciuto nel 2009, a causa della crisi economica: 126 mila in più, concentrati al nord (+85 mila) e al centro (+27 mila). Tuttavia il maggior numero, oltre un milione, si trova nel Mezzogiorno. Fra i Neet si trovano anche laureati (21% della classe di età) e diplomati (20,2%). E’ un fenomeno in crescita; nel 2007 (dati Ocse), l’Italia già registrava il 10,2% di Neet contro il 5,8% dell’Ue). Chi sono i giovani Neet? Sono coloro che perdono il lavoro e quanto più dura questo stato di inattività tanto più hanno difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro. Tra il primo trimestre del 2008 e lo stesso periodo del 2009 la probabilità di rimanere nella condizione di Neet è stata del 73,3% (l’anno precedente era il 68,6%), con valori più elevati per i maschi residenti al nord. Alla più elevata permanenza nello stato di Neet si accompagna anche un incremento del flusso in entrata di questa condizione degli studenti non occupati (dal 19,9% al 21,4%) ed una diminuzione delle uscite verso l’occupazione.

ALTRO CHE BAMBOCCIONI Vivere con i genitori anche dopo i trenta è sempre più un obbligo e meno una comodità da bamboccioni. Nonostante le aspirazioni, i 30-34enni che rimangono in famiglia sono quasi triplicati dal 1983 (dall’11,8% al 28,9% del 2009). Rilevante è anche la crescita dei 25-29enni, dal 34,5% al 59,2%. Nel complesso, i celibi e le nubili fra i 18 e 34 anni che vivono con i genitori sono passati dal 49% al 58,6%.

L’Istat afferma che in sei anni (dal 2003 al 2009) sono calati di ben nove punti i giovani (18-34 anni) che per scelta vogliono vivere nella casa dei genitori: la prolungata convivenza dei figli con genitori dipende soprattutto da questioni economiche (40,2%) e dalla necessità di proseguire gli studi (34%); la scelta vera e propria arriva solo come terza battuta (31,4%), era la prima qualche anno fa. In particolare, la percentuale di giovani che dichiara di voler uscire dalla famiglia di origine nei prossimi tre anni cresce dal 45,1% del 2003 al 51,9% del 2009, aumentando di più tra i 20-29 anni che tra i 30-34 anni. Il calo è registrato soprattutto nelle zone più ricche del Paese (-16 punti nel nord-est e -13 nel nord-ovest), dove la propensione ad essere ‘bamboccioni’ era maggiormente segnata nel passato. Tra le motivazioni economiche, spiccano le difficoltà nel trovare casa (26,5%) e quella di trovare lavoro (21%).

CRISI PER L’OCCUPAZIONE IN ROSA Con la crisi – afferma l’Istat nel rapporto annuale – le lavoratrici del nostro paese peggiorano una “criticità storica”: il loro tasso di occupazione nella fascia 15-64 anni è sceso nel 2009 al 46,4%, oltre 12 punti percentuale in meno della media nell’Ue (58,6%). Fra il 1996 e il 2008, l’occupazione femminile era passata dal 38,2% al 47,2%. Lo scorso anno, questa tendenza si è interrotta registrando un meno 0,6%. Nell’Ue, l’Italia è migliore solo a Malta (37,7%) In particolare, è il Mezzogiorno – che ha assorbito quali la metà del calo complessivo delle occupate (-105 mila donne) – a segnare fortemente il passo. In quest’area, per ogni 100 donne occupate nel primo trimestre 2008, a distanza di un anno 14 sono transitate nella condizione di non occupate (10 nella media italiana).

Il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno è del 30,6% contro il 57,3% del Nord-Est. Si è poi ulteriormente abbassato il tasso di occupazione delle donne con titolo di studio inferiore al diploma di scuola media superiore (solo il 29% delle donne con licenza media ha un’occupazione); nel Mezzogiorno supera di poco il 20%. Solo le laureate riescono a raggiungere i livelli europei, ma non le giovani che invece incontrano difficoltà all’ingresso del mercato del lavoro. La presenza di figli si conferma un deterrente al lavoro: nella fascia 25-54 anni, assumendo come base le donne senza figli, i tassi di occupazione sono inferiori di 4 punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli, di 22 per quelle con tre o più figli. Tale andamento – sottolinea l’Istat – non si riscontro nei principali paesi europei. Sotto la media Ue anche il ricorso al part-time. Lo utilizzano il 28,2% delle italiane contro una media del 28,9% in nella Ue; in Germania è il 46,7%, nel Regno Unito il 37,9%, in Spagna il 21,7%.

SALE LA PRESSIONE FISCALE La pressione fiscale in Italia è salita al 43,2% nel 2009, aumentando di tre decimi di punto rispetto all’anno precedente (42,9% nel 2008) e ampliando lo stacco di oltre tre punti percentuali con la media Ue che l’anno scorso si è attestata al 39,5% (dal 40,3% del 2008).

“Caso unico” tra le grandi economie, sottolinea l’Istituto nazionale di statistica, nel Paese risultano in forte crescita le imposte in conto capitale (per quasi 12 miliardi di euro), sospinte da circa 5 miliardi di euro per il cosiddetto ‘scudo fiscale’ e dal versamento una tantum per l’imposta sostitutiva di alcuni tributi. E’ invece calato del 4,2% il gettito delle imposte indirette (già diminuito del 4,9% nel 2008), del 7,1% quello delle imposte dirette e dello 0,5% quello dei contributi sociali effettivi.

POTERE D’ACQUISTO GIU’ Nel 2009 il potere d’acquisto pro capite italiano è scivolato sotto il livello del 2000. Al netto dell’effetto dell’aumento di popolazione, la discesa del potere d’acquisto delle famiglie è stata di circa 3 punti percentuali in un biennio, “con un profilo simile a quanto accaduto nella crisi del 1992-93”. La riduzione del reddito pro capite nel 2009 è risultata del 2,3% rispetto al 2000 che, in altri termini, è corrisposto ad una perdita di oltre 300 euro per abitante ai prezzi del 2000.

I consumi, tuttavia, ne hanno risentito comparativamente meno perché contestualmente si è registrata una riduzione della propensione al risparmio, scesa al 14% dal 14,7% del 2008, al di sotto dei livelli di tutte le altre maggiori economie dei paesi dell’Unione monetaria.

LAVORO E STRANIERI Il tasso di occupazione degli è  calata nel 2009 a ritmi doppi rispetto agli italiani. Per gli italiani – rileva il rapporto annuale dell’Istat – infatti il tasso di occupazione (56,9%) è diminuito nel 2009 di oltre un punto percentuale, mentre per gli stranieri la flessione è stata più che doppia (dal 67,1% del 2008 al 64,5% dell’anno scorso).

Anche il tasso di disoccupazione, è maggiore per gli stranieri, 2,7 punti (11,2%) in più rispetto a 0,9% degli italiani (7,5%). Per gli stranieri, l’aumento della disoccupazione (+77 mila) e dell’inattività (+113 mila) è avvenuto in presenza di un aumento dell’occupazione (+147 mila), concentrata nelle professioni non qualificate e in quelle operaie, dove la presenza di stranieri è già alta. Per l’Istat, ciò vuol dire che “anche nella crisi, gli immigrati non occupano i posti degli italiani. Continuano a rispondere alla domanda di lavoro non soddisfatta dalla manodopera locale”.

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