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Italia e fuga di cervelli: abbiamo i migliori scienziati, ma i giovani sono all’estero

di admin |1 Agosto 2011 19:08

La fuga dei cervelli italiani all’estero è un dato di fatto e le cause sono note: mancanza di fondi per la ricerca, o meglio assenza di meritocrazia nell’assegnazione di posti di ricerca e fondi, che andrebbero corrisposti a quei ricercatori e quelle ricerche che producono i migliori risultati. Ma che l’Italia avesse difficoltà nell’assegnare e nel dividere in maniera razionale ed efficiente quei soldi, molto pochi, destinati alla ricerca non è una novità. Così come non è una novità che i giovani italiani che scelgono di fare ricerca siano molto più apprezzati all’estero che nell’amata terra natia.

A confermare la migrazione delle giovani menti dal nostro paese in luoghi più ospitali c’è la classifica Via-Academy, che su 400 nomi di grandi cervelli ha stimato che 268 lavorano ancora in Italia, cioè circa 6 su 10, ed i 20 risultati più elevati sono divisi tra 29 scienziati, 11 dei quali italiani, cioè circa 3 su 10. Il dato che dovrebbe sorprendere, ma neanche troppo,  è che delle grandi menti rimaste in Italia nessuno abbia meno di 55 anni, e possiamo tra loro vantare uno dei più importanti nefrologi nel mondo, oltre a numerosi scienziati che hanno dato contributi importanti alle ricerche in campo immunologico e sulle cellule.

Mentre chi rimane in Italia aspetta anni per vedere la propria posizione consolidata, chi opta per la fuga ottiene i riconoscimenti migliori, come nel caso di Alex Sette, immunologo da poco 50enne da anni direttore del centro di Malattie Infettive di La Jola in California, che è al quinto posto della classifica, o come nel caso di Pier Paolo Pandolfi, decimo in classifica, che subito dopo la laurea da ricercatore alla Harvard Medical School di Boston volò negli Usa, dove ha scoperto un nuovo metodo di combattere il cancro.

Un altro dato che fa riflettere sulla ricerca italiana è che le città a vantare i nomi nella parte più alta della classifica sono Milano, Padova, Torino e Genova, mentre le città meridionali citate nella classifica sono solamente due: Napoli all’undicesimo posto, ma solo grazie alla presenza dei centri di ricerca di Telethon e del Cnr, e Bari ultima in classifica, dove solo l’Università si occupa della ricerca.

La classifica stilata da Mauro degli Esposti, biochimico originario di Imola che dal 2003 insegna Molecular Toxicology all’Università di Manchester in Gran Bretagna, e Luca Boscolo, consulente informatico con molte esperienze internazionali, tiene conto del parametro h-index, che viene usato a livello internazionale per la valutazione di ricercatori e scienziati sulla base di pubblicazioni e citazioni, ma inserendo unacorrezione sui tempi di pubblicazione, in modo tale da non favorire i ricercatori più anziani.

Il professor Mauro degli Esposti ha specificato: “Non esiste alcuna analisi del genere finora, solo una classifica di università derivata dai dati CIRV2003 ed una più recente ristretta ad accademici di fisica. I risultati del nostro lavoro sono aperti a varie interpretazioni. Il primo che balza agli occhi è che tutti i top dei top sono all’estero, una situazione veramente anomala per una nazione con tanti talenti».

Tanti talenti ma poco sostegno dallo Stato, che dovrebbe essere il primo sostenitore della ricerca mentre “spesso si ha la sensazione di nuotare controcorrente” come afferma il professor Alberto Mantovani, che insegna patologia all’Università di Milano ed è direttore scientifico dell’Istituto Clinico Humanitas dal 2005, che ha aggiunto: “Il Paese non è flessibile, non è meritocratico, non ha quel trasferimento di esperienze con l’industria che invece è indispensabile”, e sebbene “il nostro sistema produce cervelli ma non li attira”, è necessario a lottare per invertire questa tendenza, che ci priva dei giovani, della ricerca e delle eccellenze scientifiche che possediamo, cioè del nostro futuro.

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