Sgomento, dolore ma anche tanta rabbia: Lamezia Terme piange i sette concittadini falciati in bicicletta da un’auto pirata e trepida per i due feriti che lottano per salvarsi. Ma non c’è solo l’angoscia per una strage incomprensibile a turbare la città incredula. C’è voglia di giustizia. Il marocchino che guidava a folle velocità e forse alterato dalle droghe, deve pagare. La gente lo chiede ad alta voce, ha paura che la strage resti impunita e che il responsabile se la cavi con poco e possa tornare a terrorizzare le strade.
E’ una domanda di giustizia che non riguarda solo Lamezia Terme, che rinfocola le polemiche sui delitti in strada. La legge, però, parla chiaro. Al massimo un giudice può condannare per omicidio colposo. Prendiamo l’ultimo caso eclatante, quello dei due fidanzati romani travolti nel 2008 sulla via Nomentana, praticamente nel centro di Roma, da Enrico Lucidi, che guidava senza patente (gli era stata revocata): era passato col rosso ad alta velocità. Lucidi era stato uno dei pochi “assassini della strada” ad essere poi stato condannato per omicidio volontario, ma la Cassazione ha poi ricondotto la questione a un “semplice” omicidio colposo.
In sostanza, a Lucidi era stato riconosciuto il dolo eventuale, cioè la volontà non di uccidere i due fidanzati ma di “vedere se comportandosi in un modo così rischioso sarebbe riuscito ad ammazzare qualcuno” (se ne era parlato nel caso di Marta Russo, la studentessa uccisa nel 1996 da un proiettile sparato da una finestra dell’Università La Sapienza). Una tesi che la Cassazione ha respinto perché non dimostrabile. Così è stato ritenuto più adeguato il profilo della colpa cosciente, aggravante dell’omicidio colposo che scatta quando chi lo commette non poteva non immaginare che facendo una determinata cosa avrebbe seriamente rischiato di far morire qualcuno. Per questo, ci sono proposte di legge che mirano a superare il problema parificando di diritto, almeno nei casi estremi come quelli con alcol e droga, l’omicidio stradale a quello volontario.
Ma è una strada difficile. La difficoltà consiste nel verificare, senza ombra di dubbio, l'”animus necandi”, ovvero, in termini giuridici, l’intenzione di uccidere, cioè il dolo.