Laurea: resta il valore legale, ma nei concorsi il voto vale poco

ROMA – La laurea perde peso nei concorsi pubblici, anche se non ne è stato abolito il valore legale. Anche il voto non avrà più valore.E’ questa la corposa novità del nuovo pacchetto preparato dal governo. Il testo del decreto (40 pagine e 67 articoli) che sarà varato dal Consiglio dei ministri è stato illustrato dal premier Mario Monti al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. In questo modo, lunedì prossimo in Europa, il governo si presenterà con un altro incisivo intervento di modernizzazioni della macchina dello Stato: il secondo passo – dopo le liberalizzazioni – anch’esso chiestoci dalla Ue e dalla Bce.

Non è l’abolizione del valore legale del titolo di studio ma ci somiglia. Per la partecipazione ai concorsi pubblici la bozza del decreto sulle semplificazioni prevede infatti “l’equiparazione dei titoli di studio e professionali nei casi in cui non sia intervenuta una disciplina di livello comunitario”. A parte alcuni casi come la laurea in medicina, dove esiste appunto una disciplina comunitaria, la laurea perderà peso nelle selezioni per la pubblica amministrazione.

Non ci saranno punti in più a seconda del tipo di laurea (Economia o Giurisprudenza) e neanche in base al voto. Nella graduatoria finale, quindi, peseranno di più le prove del concorso rispetto ai titoli di studio. Un passo da collegare al nuovo sistema di accreditamento dei corsi di laurea: dal prossimo anno accademico tutti i corsi dovranno avere il via libera dell’Anvur, l’agenzia per la valutazione del sistema universitario. Che non si limiterà a dire sì o no ma darà anche un sintetico giudizio sul corso e quindi, indirettamente, su chi lo ha frequentato.

Nella bozza del decreto vengono inoltre escluse “tutte le università telematiche dalla ripartizione di una quota dei contributi di cui alla legge sulle università non statali legalmente riconosciute”. In particolare si tratta dei fondi per il merito, soldi che alle telematiche potevano arrivare grazie ad una norma introdotta dalla riforma Gelmini, ribattezzata “emendamento Cepu”.

Un’altra novità importante riguarda i ricercatori di tutte le università: ai ricercatori a tempo indeterminato non potranno più essere affidati “compito di tutorato e didattica integrativa”. Dovranno fare ricerca, mentre fino ad oggi erano spesso utilizzati per alleggerire il carico di lavoro dei professori.

Il 110 e lode quindi non sarà più un parametro decisivo per il nostro curriculum. Il Governo ha rispolverato l’abolizione per  il semplice motivo che una laurea presa a Roma è diversa da una presa a Milano o in un’altra città: non avrà più, quindi lo stesso peso, misurato dalla legge, ma il suo valore dipenderà unicamente dalla reputazione degli atenei. Insomma un 110 e lode preso in una università più facile, meno buona, non può valere un 100 che è costato più fatica presso un ateneo più difficile e migliore sotto ogni punto di vista.

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