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MILANO – “Mi dispiace per la famiglia di Lidia Macchi. Hanno il diritto di pretendere la verità ma non si fa la giustizia con qualcosa che non è la verità e io non c’entro niente”: Stefano Binda
ha parlato ai microfoni del TgR all’indomani della sentenza della Corte d’Appello che ha ribaltato la condanna in primo grado, prosciogliendolo dall’accusa di omicidio e rendendolo nuovamente un uomo libero.
Mercoledì 24 luglio, dopo la lettura della sentenza, Binda è tornato a casa a Brebbia, in provincia di Varese, dove vive con la madre e la sorella. “Ero esausto” ha spiegato Binda, parlando del suo rientro a casa. “Stamattina ho dei debiti di gratitudine e sono passato a ringraziare alcuni di quelli che mi hanno sostenuto”, ha detto.
La madre ha raccontato che è andato in chiesa e poi dal giornalaio: “Gli hanno battuto le mani. Gli hanno fatto l’applauso quando è entrato”.
L’omicidio
Lidia Macchi venne stuprata e uccisa a 21 anni con 29 coltellate in un bosco a Cittiglio, in provincia di Varese, in una notte del gennaio del 1987. Binda era stato arrestato il 15 gennaio 2016 e ieri, dopo circa tre anni e mezzo di carcere, è uscito dalla cella. Sia Lidia Macchi che Stefano Binda erano militanti di Comunione e Liberazione oltre che ex compagni di liceo.
La sorella di Lidia Macchi: “Sentenza affrettata”
“Credo che servisse un minimo di approfondimento in più. Forse è stata una sentenza affrettata”, ha detto Stefania Macchi, sorella di Lidia Macchi, commentando la sentenza con cui la Corte d’Assise d’Appello di Milano ha mandato assolto Stefano Binda. “Andremo avanti – ha aggiunto Stefania Macchi – Lidia non ce la restituirà nessuno, nemmeno questi trent’anni senza di lei”. Atteso il ricorso del legale di parte civile, l’avvocato Daniele Pizzi, contro l’assoluzione. (Fonte: Ansa)