ROMA – Luca Adami aveva poco più di venti anni, un’età in cui l’appuntamento con la morte è lontanissimo, di fatto impensabile. Ma il modo in cui è morto Luca Adami è ancora più impensabile. Una sequenza di circostanze che cumulano, legano, fanno un grumo, anzi un nodo scorsoio di disgrazia, dramma, mala sorte, caso, maledizione, grottesca malignità degli eventi. A questo nodo scorsoio Luca è rimasto impiccato. Una catena di incredibili, no impensabili fatti gli ha letteralmente tolto l’aria per respirare.
Sono le due e mezza circa di notte ad Abbiategrasso, il ragazzo esce da un pub. Non è ubriaco, lo diranno le immagine delle telecamere che non rilevano passo incerto. Ma ecco la prima circostanza della catena di morte: Luca è solo.
Nulla di improbabile a quell’ora rincasare da solo. E normale che la strada che il ragazzo attraversa sia vuota data l’ora. Ma che nessuno ci sia con lui o attorno a lui sarà un fattore decisivo nella sequenza che impensabilmente tra pochi minuti lo porterà alla morte.
Luca si avvia verso la sua auto, tira fuori le chiavi dalla tasca dei pantaloni, queste, come accade talvolta anche a ciascuno di noi, sfuggono alla sua presa, cadono. E maledettamente non cadono in terra. Cadono giù, ma non in terra. Come in una situazione che sarebbe fino a questo punto perfino venata di comicità, le chiavi cadono in un tombino, passano tra striscia e striscia della grata di un tombino. Situazione perfino ridicola, ma è la morte che sta prendendosi beffe della vita, è la morte che sorride.
Il tombino chiude uno spazio di circa 50 centimetri per 50, forse qualcosa in più sollevata la grata. E l’interno del tombino non è più profondo di un metro e mezzo. Giù, in fondo al tombino, c’è acqua per trenta/quaranta centimetri. Chi può, come mai si potrebbe, come si può soltanto immaginare che questo spazio nasconda un pericolo mortale? Come mai si potrebbe restare sepolti in uno spazio che è inferiore all’altezza del tuo corpo? Impensabile si possa affogare in 30/40 centimetri d’acqua.
E infatti il ragazzo, come qualunque di noi al suo posto, a nulla di questo pensa. Neanche alla lontana, neanche come lontano rischio. Non può neanche immaginare l’inimmaginabile. Pensa solo a recuperare le chiavi. Sdraiato a pancia in giù con il braccio e la mano non arriva a pescare le chiavi sul fondo. Gli è nemico qui il metro e mezzo di profondità.
Allora, a questo punto il ragazzo commette un errore. Un errore che diventa subito orrore. Sporge il capo dentro il tombino e infila la testa nel tombino stesso per allungare il raggio d’azione delle mani che cercano le chiavi. Perché forse in questo momento le mani che cercano sono due. O forse la mano che era rimasta a tenerlo sul bordo del tombino è scivolata, ha perso la presa.
Il ragazzo va giù a testa in giù in quel metro e mezzo di profondità. E qui diventa prigioniero di quel 50 per 50 centimetri che è lo spazio di un tombino. Troppo piccolo per girarsi, far presa, far leva. Il ragazzo si conficca in quello spazio a testa in giù. Basterebbe una piccola forza per farlo uscir fuori, ma lui quella forza non può esercitarla da là sotto e così stretto. Passasse un’anima sarebbe questione di un attimo tirarlo su.
Ma la via è deserta e il ragazzo, anche se urla, anche se è ancora vivo per qualche minuto, è di fatto già sepolto. A testa in giù, i piedi fuori dal tombino. Potrebbe forse, forse, resistere più a lungo. Se riuscisse a tendere all’inverosimile i muscoli del collo, fino a tenere la testa un po’ sollevata, fuori dall’acqua sotto stante il suo volto. Se riuscisse a provare ad avere la forza per respirare forse potrebbe resistere, forse.
Ma non può perché l’acqua è fetida e impregnata di miasmi che lo stordiscono. Perdere i sensi e morire affogato a testa in giù in quel budello è veloce sequenza.
La strada deserta, ovvio quell’ora. Il lasciarsi sfuggire dalle mani le chiavi dell’auto, insignificante, banale, ordinario contrattempo. Il precipitare della chiavi proprio dentro il tombino. Una sfiga, una sfortuna, un danno, un contrattempo. Qualcosa che accade di rado ma non che non possa capitare. Il tombino più profondo del previsto, ma non è errore di valutazione che possa costare più di un mancato recupero delle chiavi. E poi l’inimmaginabile, il chinarsi, il perdere la presa, l’infilarsi a testa in giù nel buio, il non potersi più muovere, il soffocare, l’affogare nell’acqua melmosa.
Ecco come è successo, così è successo e anche dopo che è successo davvero resta inimmaginabile che possa succedere.