PESARO – Lucia Annibali non si piega alla violenza del suo ex. Luca Varani, anche lui avvocato a Pesaro, aveva avuto con Lucia una relazione e, secondo l’accusa, l’ha perseguitata per mesi prima di organizzare l’agguato con l’aiuto di due uomini albanesi.
L’acido che Varani le fece buttare in faccia la sera del 16 aprile le ha rovinato il viso, “ma lui non l’avrà vinta. Non mi arrenderò mai, lo sappia chi mi ha fatto tutto questo. Possono avermi tolto il viso, non la voglia di ricominciare. Sono qui, viva. Ho giurato a me stessa che ce l’avrei fatta e ce la farò”.
Annibali, avvocato di 36 anni, per la prima volta da quell’aggressione parla al Corriere della Sera. Ricostruisce quei momenti: un uomo incappucciato con in mano un barattolo. Le ha lanciato il liquido ed è scappato via:
“Mi sono detta un sacco di volte che forse potevo scappare, che magari avrei potuto proteggermi un po’ di più. Quello mi ha lanciato addosso il liquido del barattolo. Ricordo la mia faccia che friggeva, rantolavo. Ho fatto in tempo a specchiarmi un istante prima che gli occhi non vedessero più niente. Ero grigia, c’erano bollicine che si muovevano sulle mie guance. Urlavo, urlavo tantissimo. Ricordo di aver tolto il giacchino di pelle per non rovinarlo… come se fosse importante”.
Già quella sera lei sapeva chi era stato. Lo aveva detto alla vicina che era accorsa. “E’ stato lui, il mio ex”.
Dopo c’è stato il ricovero, le medicazioni, i controlli, la fisioterapia, i massaggi, il laser, il collirio da mettere ogni tre ore:
“Cascasse il mondo io non posso rimanere cieca come dicono i medici. Sarebbe troppo ingiusto. Avevo gli occhi bianchi, completamente coperti dall’acido, hanno creato una sostanza con il mio sangue e me li hanno puliti, io ci ho messo la volontà di guarire”.
Alla fine ce l’ha fatta: ora ci vede. Ogni giorno deve indossare qualche ora una maschera di silicone, per il resto della giornata una di tessuto. Sulla mano destra, ustionata dall’acido, di giorno indossa un guanto di tessuto. Rimedi per schiacciare la pelle e ottimizzare gli innesti.
Oltre a queste cure quotidiane ci saranno nuove operazioni.
“Mi ci vorrà almeno un anno per tornare con un viso, diciamo, armonioso. Adesso non sono un granché, mi rendo conto, ma ho in programma un’operazione per allargarmi la bocca, così sembrerò ancora più umana e finalmente potrò sorridere”.
Ma il peggio sono stati i primi giorni in ospedale:
“Ogni tanto mi toccavo e mi dicevo “sto’ naso… mi sa che non c’è rimasta tanta roba…” sentivo la pelle sottile sottile... A un certo punto, mentre ero ancora bendata, ho cominciato a fare un po’ di domande. Come sarò? E loro: “avrai delle cicatrici”. Ricordo che ho detto: “Definisci cicatrici”. E loro: “Avrai la pelle di un colore diverso, all’inizio non ti piacerai ma poi migliorerai”. Mi sono messa a piangere ma ho scoperto che non potevo farlo. Se avessi pianto avrei potuto rovinare la pellicola che mi avevano applicato. Allora mi sono detta: Lucy, sei adulta, sopporta quello che c’è da sopportare e sono fiera di averlo saputo fare senza fiatare. Lì in reparto sentivo che urlavano dal dolore… Quando avevo voglia di piangere mi saliva una rabbia… non è giusto soffrire per non aver fatto niente, non è giusto che io sia costretta a vedermi così”.
Guardando vecchie fotografie, con la famiglia, alla prima comunione, dice:
“Quella non sono più io. È la mia ex. So perfettamente che non tornerò com’ero prima, ma ci andrò il più vicino possibile, vedrai”.