PALERMO, 10 GEN – La falsa pista della strage di via D'Amelio, che per molti anni ha inquinato la verita' sull' eccidio di Paolo Borsellino e degli uomini della scorta, sarebbe stata costruita a tavolino come un teorema investigativo. E solo dopo sarebbero stati trovati i pentiti e le ''prove'' a sostegno di una pista che solo ora si sta dimostrando infondata.
Dall'inchiesta della Procura di Caltanissetta affiorano documenti e testimonianze sul ''depistaggio''. Il quotidiano l'Unita' ha anticipato che nell'edizione di domani pubblichera' verbali, note e altri documenti da cui risulterebbe la volonta' del gruppo di investigatori guidato da Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, di portare in dibattimento una falsa verita'.
''Le carte – anticipa L'Unita' – raccontano in diretta i contrasti sorti all'interno degli uffici giudiziari, tra chi quella falsa verita', arrivata fino in Cassazione, l'ha avallata e chi sostiene di averla bollata sin da subito come depistante''.
Tra le voci critiche c'erano quelle del pm Ilda Boccassini, che aveva chiesto l'assegnazione in Sicilia proprio per indagare sulle stragi, e l'ex vice questore Gioacchino Genchi. Nei loro verbali emerge uno scontro durissimo che si concludera' con il ritorno della Boccassini a Milano e l'abbandono di Genchi della squadra di La Barbera. Sia Genchi che Ilda Boccassini non avrebbero esitato di indicare Vincenzo Scarantino come un falso pentito.
''Mi hanno manovrato come un orsacchiotto con le batterie'', ha raccontato Scarantino.
La figura di Arnaldo La Barbera, che era anche uomo dei servizi di sicurezza, emerge come quella del grande regista dell'operazione-depistaggio. Nell'inchiesta sono da tempo indagati altri tre funzionari di polizia: Mario Bo, Salvatore La Barbera e Vincenzo Ricciardi. Ma secondo i magistrati di Caltanissetta l'inchiesta non ha raccolto nei loro confronti elementi decisivi e per questo si va verso l'archiviazione delle loro posizioni.
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