Mafia, Spatuzza: “Chiedo perdono per l’omicidio del piccolo Di Matteo”

”Chiedo perdono alla famiglia del piccolo Giuseppe Di Matteo e a tutta la società civile che abbiamo violentato e oltraggiato”. Lo ha detto, visibilmente commosso, il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, deponendo al processo per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, rivolgendosi ai familiari del bambino e alla Corte d’assise.

”Noi siamo moralmente responsabili – ha aggiunto Spatuzza – della fine di quel bellissimo angelo a cui abbiamo stroncato la vita. Anche se non l’abbiamo ucciso io e i miei coimputati siamo colpevoli del sequestro, ma anche della morte del ragazzino e ne daremo conto, non solo in questa vita, ma anche domani dove troveremo qualcuno ad aspettarci”.

”L’abbiamo legato come un animale e l’abbiamo lasciato nel cassone di un furgoncino Fiorino. Lui piangeva, siamo tornati indietro perchè ci è uscita fuori quel poco di umanità che ancora avevamo”, prosegue Spatuzza. Dopo il sequestro, il ragazzino venne portato a Lascari dove il gruppo di fuoco di Spatuzza lo lasciò ai mafiosi che si sarebbero dovuti occupare di nasconderlo. Ma i carcerieri non erano pronti a prenderlo in consegna e dissero a Spatuzza e al boss Cristoforo Cannella di lasciarlo in un Fiorino, legato, in un magazzino a Lascari. Spatuzza e gli altri però non volevano. ”Ne è nata una discussione con Cannella – ha detto – ma alla fine obbedimmo”. Il bambino, terrorizzato, piangeva. ”Ci chiamò dicendo che doveva andare in bagno – ha aggiunto – ma non era vero. Aveva solo paura. Allora tornammo indietro per rassicurarlo e gli dicemmo che ci saremmo rivisti all’indomani, invece non lo rivedemmo mai più”.

Il piccolo Giuseppe Di Matteo venne rapito il 23 novembre 1993 da un gruppo di uomini d’onore nel tentativo di costringere il padre, coinvolto nella strage di Capaci, a ritrattare le accuse a numerosi mafiosi presunti responsabili dell’ attentato al giudice Falcone. Il ragazzo rimase prigioniero di Cosa Nostra per circa 18 mesi e venne poi strangolato e successivamente sciolto nell’acido l’11 gennaio 1996 dopo 779 giorni di prigionia.

La sorte del ragazzino fu decisa la sera in cui Brusca apprese dalla televisione di essere stato condannato all’ ergastolo per il delitto di Ignazio Salvo. In preda all’ ira ordinò al fratello Enzo di eliminare l’ostaggio. I particolari raccapriccianti della sua fine furono riferiti poi dai pentiti Giuseppe Monticciolo e Pasquale Di Filippo, quindi confermati da Enzo Brusca. Il piccolo Giuseppe, ormai ridotto a uno scheletro, fu strangolato con una corda dal suo ”custode”, Vincenzo Chiodo, mentre Brusca e Monticciolo lo tenevano fermo. Il cadavere fu poi sciolto nell’acido.

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