Il Veneto è stato travolto dalle alluvioni ma qualcuno, inascoltato, lo aveva già previsto quattro anni fa. Una ricerca di Luigi D’Alpaos, del dipartimento di Ingegneria idraulica, marittima, ambientale e geotecnica, dal titolo “I rischi di inondazione nella provincia di Padova”, denunciò nel febbraio del 2006 la possibilità di esondazione dei fiumi Brenta e Bacchiglione.
Lo studio spiegava come la città di Padova ed i territori limitrofi, nati come campi ad alto assorbimento idrico, con l’urbanizzazione avrebbero avuto bisogno di una pianificazione delle idrovie, necessaria al controllo degli invasi e al fine di evitare disastri ambientali come quello che nel novembre del 1966 interessò la stessa zona. D’Alpaos fa un attenta analisi del territorio e descrive le misure da attuare al fine di garantire un migliore controllo dello smaltimento idrico e preservare le città da un possibile allagamento.
Nella ricerca si può leggere: “Restando al solo campo idraulico, sarebbe davvero riduttivo e da veri cultori del “pensiero debole” sostenere l’idea che quanto è stato finora realizzato dell’idrovia, in termini di opere e di tracciato, sia destinato solo e soltanto alla funzione di bacino di invaso delle portate di piena raccolte dalle reti di fognatura della Zona Industriale e dagli scoli di bonifica di alcune altre porzioni di territorio. Ruolo davvero minimale per un’opera che potrebbe invece offrire grandi prospettive di sviluppo per Padova e per tutta la sua provincia”.
Lo ha detto anche il segretario degli artigiani del Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi: “Abbiamo costruito troppo e questa è sicuramente una delle cause che ha provocato il disastro ambientale della settimana scorsa. Tra il 2000 e il 2006 la superficie artificiale del Veneto, ovvero le superfici strettamente legate agli usi urbani, è aumentata più del doppio della media nazionale”.
“Dopo il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna e la Valle d’Aosta – ha detto Bortolussi – il Veneto è al quarto posto per numero di metri quadrati per abitante di superfici artificiali, con una incidenza sul totale del territorio regionale pari all’8,3%; rispetto a quest’ultimo indicatore, solo la Lombardia presenta un risultato più preoccupante del nostro”.
Spesso accade che quando una causa è nota, quando sono svelati i come ed i perché, l’unica domanda che resta da fare è: tale disastro si poteva evitare? Possibile che tra il 2000 ed il 2006, periodo di forte incremento delle superfici urbane, nessuno in Veneto abbia pensato ad un sistema regolatore di pianificazione delle costruzioni urbane, che drenano le acque piovane in maniera nettamente inferiore rispetto alle ampie superficie di colture di cui hanno preso il posto?
Se esistevano analisi dettagliate del territorio e precedenti storici di violente esondazioni, come quella del novembre 1966, com’è stato possibile che in 44 anni nessuno abbia seriamente preso in considerazione la possibilità di nuovi allagamenti dagli effetti ugualmente devastanti? Sebbene sia chiaro che con i se e con i ma non è possibile riscrivere la storia, e che la situazione di crisi vada affrontata in maniera pratica e diretta, sconcerta la ‘prontezza’ dei politici italiani che davanti alle situazioni di emergenza, dapprima urlino indignati chiedendo i fondi per i loro elettori, come il leghista Luca Zaia, e poi sorvolino sul (triste) fatto che l’emergenza e la calamità, in qualche modo preannunciata, sarebbe stata contenibile, con grandi benefici non solo dello Stato, che non avrebbe affrontato gli ingenti costi di ricostruzione, ma di tutti i cittadini vittime dirette della tragedia.