Mantova, il killer Omar Bianchera: “Dovevo farlo, mi spiace solo per i bambini che hanno visto ammazzare il papà”

Pubblicato il 27 Aprile 2010 - 08:51 OLTRE 6 MESI FA

“Dovevo farlo, era l’unica soluzione, mi è spiaciuto solo per quei bambini che hanno visto ammazzare il loro papà”. Sono le parole di un uomo affatto pentito quelle di Omar Bianchera, che domenica scorsa, 25 aprile, ha ucciso tre persone a Volta Mantovana. Nessun particolare disprezzo per le sue vittime. «Dovevo farlo» ha ripetuto con freddezza. “Ero stressato. Anche adesso sono molto stanco”. “Credetemi, ho le mie ragioni. Non sono un mostro, sono una persona normale”, aveva detto ai Carabinieri, che lo hanno portato nel carcere di Mombello a Brescia verso l’una di notte.

Questa mattina, 27 aprile, durante l’interrogatorio di convalida dell’ arresto, Bianchera si è avvalso della facoltà di non rispondere. L’avvocato Maria Grazia Capitanio, uno dei due legali dell’uomo, ha detto ai giornalisti: “Depositeremo una richiesta di interrogatorio presso il pm titolare dell’inchiesta. In quella sede renderà la sua versione dei fatti”. Angelo Villini, l’altro avvocato del pluriomicida, ha precisato: “Bianchera si è avvalso della facoltà di non rispondere perché in questo momento è disorientato e fisicamente distrutto”. Alla domanda all’avvocato Villini sull’ipotesi di omicidio premeditato, il legale avrebbe risposto: “Ne riparliamo”.

“Il mio assistito ha certamente intenzione di chiedere perdono ai familiari delle vittime”, ha aggiunto Villini, che ha ribadito: “Si è certamente reso conto di quello che ha fatto. E’ dispiaciuto verso tutti, verso le persone offese, verso i familiari. Il suo pensiero in questo momento è rivolto a loro”.

L’uomo non ha voluto parlare, tutto quello che si sentiva di dire, infatti, Omar l’aveva detto ai carabinieri, dopo l’arresto. “Credetemi, al punto in cui ero arrivato non potevo fare in un altro modo”, aveva ripetuto e il suo legale aveva fin da subito ribadito che Bianchera era «duramente provato», una persona svuotata.

Omar, infatti, sembra davvero aver vissuto una vita vuota negli ultimi tempi. Viveva chiuso in se stesso, sempre più lontano dal mondo fuori. I carabinieri stessi che sono entrati in casa sua hanno avuto questa sensazione:  quella di una persona ormai senza alcuna speranza nè voglia di vivere. La grande sala al pianterreno era vuota – come riportano oggi le pagine del Corriere della Sera – alle pareti, soltanto l’alone grigio lasciato da quadri e fotografie. In cucina, il frigorifero era una specie di natura morta. Tutto quel che mancava nella casa gli investigatori l’hanno ritrovato al primo piano, nell’ultima stanza a sinistra. Dietro alla porta c’erano mobili, foto di famiglia, la televisione, la panca per i pesi, le cartucciere, felpe e panni sporchi. «Il rifugio di un animale ferito» ha detto uno di loro. Anche Giuseppe Adami, il suo sindaco, sono ormai due giorni che ripete lo stesso concetto. Omar non era niente, «uno che al massimo faceva dispetti o fastidi alla sua ex moglie, un vicino di casa a cui nessuno prestava attenzione».

Quando lo hanno portato in caserma per sottoporlo allo stub, l’accertamento tecnico che serve a trovare tracce di polvere da sparo sula mano di un sospettato, ha frainteso e si è quasi risentito. «Non mi sono drogato, sono pulito. Potete farmi qualunque tipo di esame, ma io non sono drogato».

Durante l’arresto le forze dell’ordine hanno trovato nello zaino sul sedile davanti una 44 Magnum, dietro c’era il fucile e una provvista di 141 colpi ancora inesplosi. Così armato aveva avuto il coraggio di difendersi: “Non sparatemi, vi prego” .

Nei suoi ultimi minuti di libertà aveva fatto una telefonata alla mamma, un’altra all’ex fidanzata olandese: «Sono qui, davanti al lago dove ti porto quando vieni in Italia». Infine al datore di lavoro, con il quale non aveva più rapporti da mesi, per dirgli che “siccome ho combinato un casino non mi devi cercare più”.