Marco Vannini, la Cassazione: "Con i soccorsi non sarebbe morto" Marco Vannini, la Cassazione: "Con i soccorsi non sarebbe morto"

Marco Vannini, la Cassazione: “Con i soccorsi non sarebbe morto”

Marco Vannini, la Cassazione: "Con i soccorsi non sarebbe morto"
Marco Vannini (nella foto Ansa). La Cassazione: “Con i soccorsi non sarebbe morto”

ROMA – La morte di Marco Vannini “sopraggiunse” come “conseguenza” sia delle “lesioni causate dal colpo di pistola” che della “mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l’effetto infausto”. Lo scrivono i giudici della prima sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza che ha rinviato ad un appello bis tutta la famiglia Ciontoli, in accoglimento dei ricorsi della procura e delle parti civili.

Un mese fa la suprema corte ha annullato la sentenza di secondo grado che aveva ridotto la condanna al principale imputato, Antonio Ciontoli, da 14 a 5 anni di reclusione, con la riqualificazione del reato da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo. 

Marco Vannini morì a maggio 2015 mentre era a casa della fidanzata a Ladispoli, dopo essere stato raggiunto da un colpo di pistola. “Una condotta omissiva – scrive la Cassazione – fu tenuta da tutti gli imputati nel segmento successivo all’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che, dopo il ferimento colposo, rimase inerte, quindi disse il falso ostacolando i soccorsi”.

Marco Vannini “rimasto ferito in conseguenza di quello che si è ritenuto un anomalo incidente”, osservano i supremi giudici, “restò affidato alle cure di Antonio Ciontoli e dei di lui familiari”. Tutti, si legge nella sentenza, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente: si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola e provvidero a riporla in un luogo sicuro, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue con strofinacci e successivamente composero una prima volta il numero telefonico di chiamata dei soccorsi”.

Questa sequenza di azioni “rende chiaro”, osserva la Cassazione, che “Antonio Ciontoli e i suoi familiari assunsero volontariamente, rispetto a Marco Vannini, rimasto ferito nella loro abitazione, un dovere di protezione e quindi un obbligo di impedire conseguenze dannose per i suoi beni, anzitutto la vita”.

Per la Cassazione, inoltre, “si coglie anche più della reticenza” nel comportamento di Martina Ciontoli, la fidanzata di Marco, in relazione a un punto che emerge dalla ricostruzione investigativa sull’omicidio. “All’infermiera”, le cui dichiarazioni “sono state confermate da quelle dell’autista” dell’ambulanza, “una ragazza bionda, poi riconosciuta in Martina Ciontoli, non appena ella giunse presso l’abitazione della famiglia Ciontoli, disse di non sapere cosa fosse successo, perché lei non era stata presente”, sottolineano i giudici.

In ogni caso, osserva la Corte, “presente o meno che fu al momento dello sparo, è certo che accorse subito sul luogo” e che quindi “ebbe sul fatto le stesse informazioni degli altri suoi familiari”. Di reticenza la Cassazione parla anche in relazione al comportamento di Maria Pezzillo, moglie di Antonio Ciontoli e madre di Martina, e di suo figlio Federico Ciontoli: entrambi, al momento della prima telefonata al 118, “erano portatori di un sapere” perché “avevano appreso della versione del colpo a salve e, vera o falsa che fosse, non la riferirono benché richiesti”.

Fonte: Agi

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