NAPOLI – Maria Baratto, l’operaia anti-suicidi, si è suicidata. Baratto, 47 anni, cassintegrata Fiat da sei anni, era stata in prima linea nel denunciare i suicidi dei colleghi licenziati. Nel 2011, ricorda Flavio Bufi sul Corriere della Sera, aveva scritto un articolo dal titolo “Suicidi in Fiat” in cui raccontava di un suo collega che, dopo aver ricevuto la lettera di licenziamento, aveva ucciso la moglie, tentato di ammazzare la figlia e poi si era tolto la vita. Martedì scorso anche Maria ha ceduto: si è uccisa accoltellandosi più volte allo stomaco.
I carabinieri l’hanno trovata dopo quattro giorni, chiamati dai vicini di casa della donna preoccupati perché lei non rispondeva al telefono e loro sentivano uno strano odore venire dal suo appartamento di Acerra.
Maria era in cassa integrazione da sei anni, dopo essere stata lasciata a casa dalla Fiat di Nola, reparto logistico. La disillusione che l’aveva spinta a scrivere l’articolo del 2011 era ancora viva, più che mai:
“L’intero quadro politico-istituzionale che, da sinistra a destra, ha coperto le insane politiche della Fiat è corresponsabile di questi morti insieme alle centrali confederali. Tanti lavoratori Fiat sono costretti ormai da anni alla miseria di una cassa integrazione senza fine e a un futuro di disoccupazione”,
scriveva.
La sua storia l’aveva riassunta lei stessa in una testimonianza al regista Luca Russomando per il film “La fabbrica incerta”, del 2009:
“A 22 anni montavo il tergilunotto sull’Alfa 33 da sola, oggi prendo psicofarmaci”.
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