Maria Teresa Scandella, in arte “Lalla”: una “baby squillo” di 50 anni fa

Maria Teresa Scandella, in arte "Lalla": una "baby squillo" di 50 anni fa
Maria Teresa Scandella, in arte “Lalla”: una “baby squillo” di 50 anni fa

BERGAMO – Si chiama Maria Teresa Scandella, in arte “Lalla”, fa la prostituta, ha sessant’anni ed è sotto processo per estorsione. Avrebbe ricattato due clienti costringendoli a darle dei soldi. Queste le denunce dei clienti:

«Avevo risposto a un annuncio, per andare con una prostituta: era la prima volta. Quando poi sono stato da lei dopo il rapporto ha preteso 500 euro dicendo che mi aveva filmato e minacciando di divulgare la cosa».

«Mi ha fatto pagare tutte le sue spese per settimane, dopo che l’avevo contattata tramite un annuncio su un giornale: le ho dato assegni per 19 mila euro, e mi ha minacciato alla fine per averne altri».

Una testimone della difesa invece ha dichiarato

«La signora Scandella mi aveva parlato di quest’uomo, con cui aveva un rapporto affettuoso, e che spesso le faceva regali, anche molto costosi: anche una comune conoscenza li ha visti insieme».

Il processo continua e alla prossima udienza sarà la stessa Scandella a prendere la parola per deposizioni spontanee.

Fin qui niente di straordinario. Notevole è invece il personaggio di “Lalla”, che lei stessa ha raccontato nella sua autobiografia dal titolo “Confessioni di una prostituta di provincia”. E che avrebbe ispirato il migliore De Andrè.

Si è molto urlato sull’età delle baby squillo dei Parioli, 14 e 15 anni. Bene, in un contesto senz’altro diverso “Lalla” racconta di aver iniziato il mestiere più antico del mondo a 13 anni.

Erano gli anni del “boom” economico, ma il Paese che gridava al miracolo economico era lo stesso in cui in molte zone si moriva letteralmente di fame. Era il caso di Bratto, borgo in val Seriana, a nord di Bergamo, dove Lalla è cresciuta, prima di 16 figli.

“La nostra casa era molto piccola e veramente messa male: dormivamo tutti nel solaio e solo una tendina separava il nostro spazio da quello di mamma e papà. Nonna mi raccontava che la mia culla era una cassetta di mele, con un materasso di foglie secche e una coperta che era poi un sacco di carta tipo quelli che servono a contenere il cemento. Cibo poco, ma di bocche da sfamare, in famiglia, troppe. Ti dovevi arrangiare e spesso non serviva neppure quello […] Non volevo fare la vita che ha fatto mia madre, lei sì che ha visto la fame quella vera. Una volta aveva notato per strada un sacco di pane mi ha confessato che ha avuto la tentazione di rubare qualche panino per noi ma non l’ha fatto. Man mano che crescevo mi sono accorta che la miseria non lascia scampo, mia madre mi ripeteva spesso: ‘Mariella piuttosto che fare la mia vita fai la puttana’. Non sapevo cosa voleva dire quella parola, poi ho imparato…”

Così Lalla racconta la sua infanzia al giornalista Andrea Marchesi. Poi iniziò “la vita” e il “peccato originale” avvenne per colpa di una mela:

“Una delle prime occasioni mi si presentò con il fruttivendolo del paese. Il suo era il negozio che preferivo. Sono sempre stata golosa di frutta e verdura, ma con i pochi soldi che mi dava mia mamma era per me impossibile pensare di addentare una mela. ‘Posso prenderla?’ chiesi una volta al tipo del bancone, un torace possente montato su due gambe magre. ‘Ce li hai i soldi?’ mi ha risposto e io: ‘No, ma ho molta fame’. Con un cenno della mano mi chiese di seguirlo nel retro della bottega, un piccolo ripostiglio buio, pieno di cianfrusaglie ed attrezzi. Mi fece sedere in una carriola appoggiata ad un muro e cominciò a palpeggiarmi prima sopra la maglietta rosa e poi, senza esitazioni, sotto. ‘Che belle tettine’, mi diceva ansimando e scendendo con la mano fino al centro della gambe. Io continuavo a sgranocchiare la mela e cercavo di concentrarmi solo sul suo sapore mentre l’uomo mi baciava sul viso e sul collo”.

Poi vennero i night svizzeri, il ritorno a Bergamo non lasciare sole le tante sorelle, il trauma di uno stupro. Alti e bassi ai quali ha reagito sempre a muso duro. Finendo per mettersi in proprio. Si comprò un camper e iniziò a usarlo come bordello mobile. Sulla via Briantea era diventata parte del paesaggio, con il suo bordello su quattroruote e il cartello “Io Amo 333…” segue numero di cellulare. A modo suo aveva una mentalità imprenditoriale:

«Testa bassa e lavorare, in tipico stile lombardo. Solo con un lavoro diverso – scrive -, molto comune ma meno comunemente accettato». Il libro costa 10 euro, è in vendita sul web. Il titolo è il suo slogan. «Applico un criterio di gestione scientifica alla mia azienda, quindi a me stessa e al mio lavoro. Uniformità del messaggio. Continuo a ripeterlo». Appunto: «Io amo». Anche sui biglietti da visita che distribuisce al centro commerciale. «Io amo». Lo vedi, anche oggi, sui paracarri della Briantea.

Il libro lo ha iniziato a scrivere in carcere, dove era finita per ricettazione. E adesso l’altro processo per estorsione. Ma lei non si abbatte e continua a lavorare. Nonostante l’età continua ad avere un suo “mercato”:

“Faccio dei buoni investimenti… Mi sono rifatta già due volte nel giro di 15 anni il seno. Ho speso circa 25.000 euro per tutti i ritocchini. È un investimento… Poi sento le donne che dicono: ‘io non mi rifarei mai!’. Perché non li hanno i soldi per rifarsi…”

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