ROMA – Ora che, a 83 anni e dopo una vita di sofferenze imposte da intolleranza e pregiudizio, è morta, è giusto ricordare che Mariasilvia Spolato nel 1972 fu licenziata dal Ministero dell’allora Pubblica Istruzione per indegnità: il suo torto fu, prima donna in Italia, a dichiararsi con orgoglio e senza reticenze innamorata di un’altra donna. La prima lesbica a fare coming out, una pioniera dei diritti individuali legati all’orientamento sessuale.
Una vita di alti e bassi, come una barca nella tempesta, ma sempre coerente, rinnegandosi mai. E’ questa la storia di Mariasilvia Spolato, deceduta nei giorni scorsi all’età di 83 anni in una casa di riposo di Bolzano: laureata con 110 e lode, è stata docente universitaria di matematica. Nel 1972, dopo il coraggioso coming out, iniziò a perdere tutto, la compagna, il lavoro e i legami familiari. E’ finita per strada come senzatetto e per molti anni ha vagato per le strade di Bolzano, sempre alla ricerca di libri e giornali da leggere.
La notizia della morte è stata appresa dal fotografo Lorenzo Zambello e raccontata sulle pagine del quotidiano Alto Adige da Luca Fregona, che in questi anni si era fermato innumerevoli volte per strada per scambiare due parole con questa piccola grande donna. E pensare che Mariasilvia da giovane laureata in matematica aveva tutte le carte in regola per una carriera accademica. La docente universitaria alle fine degli anni Sessanta pubblicò dei manuali per Fabbri e Zanichelli.
Ma la sua profonda coerenza la portò a dichiarare nel 1972 il suo amore per un’altra donna. Scese anche in piazza per i diritti lgbt. Per GayLib, “Mariasilvia Spolato è stata una delle più significative pioniere nella battaglia per il diritto all’esistenza e al riconoscimento sociale delle persone gay e lesbiche in Italia”. Quella scelta di coerenza avrebbe però cambiato profondamente la sua vita. Passo dopo passo perse tutto, il lavoro, la donna che amava e anche la rete familiare che ti trattiene quando scivoli.
Mariasilvia finì per strada, nessuno sa bene perché proprio a Bolzano. Ebbe inizio una lunga vita da clochard. “La vedevo – racconta il giornalista Fregona – con i suoi borsoni a tracolla, la giacca a vento e il berretto di lana calato in testa, vagare per parchi e strade o dormire in stazione. Nell’ultimo periodo che girava in città utilizzava un carrello della spesa per trasportare tutto. Era sempre intenta a leggere qualcosa o a fare i cruciverba. Non era scontrosa, ma non parlava volentieri. Se ti fermava era solo per chiederti una sigaretta”.
“Come fotografo – ricorda invece Zambello – è stato un grande onore poterla fotografare, infatti non amava essere ripresa. Questa primavera, mentre facevo ritratti degli ospiti di villa Armonia, è stata lei a venire da me”. Ora molte persone a Bolzano, ma anche nel resto del territorio nazionale, si stanno mobilitando per organizzare i funerali della prima italiana che disse sì e non si voltò mai indietro.