Marito spia Facebook della moglie? Cassazione lo condanna per accesso abusivo privacy

Marito spia Facebook della moglie? Cassazione lo condanna per accesso abusivo

ROMA – Vietato utilizzare la password del partner per curiosare nel suo profilo Facebook, anche se a darvi le credenziali è stato proprio lui. A deciderlo nella sentenza 2905 di febbraio 2019 sono i giudici della Cassazione, che hanno condannato il marito che utilizzava le password date prima della crisi matrimoniale per entrare nel social network ed estromettere l’ormai ex moglie dal suo stesso profilo.

La Cassazione ha rilevato che un comportamento del genere configura il reato di accesso abusivo nella privacy indipendentemente dal fatto che le credenziali siano state ottenute lecitamente o meno. L’uomo, scrivono i giudici nella sentenza, era entrato “nel profilo Fb della moglie grazie al nome utente ed alla password utilizzata da quest’ultima, a lui noti da prima che la loro relazione si incrinasse, aveva così potuto fotografare una chat intrattenuta con un altro uomo e poi cambiare la password, così da impedire alla moglie di accedere al social network”.

Contro la condanna emessa dalla Corte di Appello di Palermo nel settembre 2017, la cui entità non è nota, il marito imputato nel frattempo diventato ex coniuge, ha protestato in Cassazione sostenendo che “chiunque poteva accedere” al profilo Fb della moglie “presidiato da codici di accesso piuttosto comuni” e comunque le credenziali gli erano state comunicate dalla stessa donna “prima del lacerarsi della loro relazione”.

Per la Cassazione “la circostanza che lui fosse a conoscenza delle chiavi di accesso della moglie al sistema informatico, quand’anche fosse stata lei a renderle note e a fornire così in passato una implicita autorizzazione all’accesso, non escluderebbe comunque il carattere abusivo degli accessi”.

I giudici hanno poi aggiunto: “Mediante questi ultimi infatti si è ottenuto un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa ed esorbitante rispetto a qualsiasi possibile ambito autorizzatorio del titolare dello ‘ius excludendi alios’, vale a dire la conoscenza di conversazioni riservate e finanche l’estromissione dall’account Facebook della titolare del profilo e l’impossibilità di accedervi”.

Il ricorso della difesa dell’uomo è stato così dichiarato inammissibile dai giudici della Cassazione, che hanno rigettato il ricorso e hanno condannato l’imputato a pagare duemila euro alla Cassa delle ammende e quasi tremila euro per la difesa della ex moglie costituitasi parte civile. 

Gestione cookie