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Marocchino morto per strada “tra l’indifferenza dei passanti”. La provocazione della ‘Nuova Ferrara’

di Alessandro Avico |20 Febbraio 2010 15:39

Un grande necrologio campeggia sabato sulla prima pagina del quotidiano la Nuova Ferrara. Uno choc dedicato al giovane Sahid Belamel, straniero e clandestino, morto per il freddo la mattina di San Valentino dopo essere stato per molte ore nudo e ferito ai bordi di una strada senza che nessuno lo soccorresse.

E’ un necrologio “provocatorio” ( “ci ha lasciato nell’indifferenza generale dei passanti…abbandonato in agonia e morto di freddo”) voluto dal direttore Paolo Boldrini per scuotere la città su quanto di sconcertante è avvenuto e per far riflettere i ferraresi su un episodio che non deve essere dimenticato.

Il giornale pubblica l’intervento del sindaco Tiziano Tagliani, dell’arcivescovo monsignor Paolo Rabitti e di don Domenico Bedin, sacerdote di “frontiera” che si occupa dei problemi di immigrazione e gestisce un’associazione per la prima accoglienza di chi si trova in difficoltà.

“Stiamo perdendo di vista il vero senso della vita – scrive il sindaco Tagliani – con un forte individualismo a scapito dei valori comuni e universali che ci sono stati consegnati dai nostri antenati e che abbiamo il dovere di mantenere vivi per noi e per i nostri figli. La morte di Sahid Belamel ci costringe a meditare”.

L’arcivescovo Paolo Rabitti nel suo fondo scrive: “Così muore la pietà”, e paragona l’episodio ferrarese alla parabola evangelica del Buon Samaritano… “fui visto da molti e lasciato nello stato di abbandono, senza vestiti e malfermo e, perciò, abbandonato al suo destino. Così anche Ferrara, dopo altre città, entra nel novero delle comunità umane ad alto tasso di disumanità. Così i giovani, che sembrano tutt’uno quando varcano le discoteche, nel momento in cui uno di loro sballa e ‘sbiella’, lo lasciano al loro destino”.

Don Domenico Bedin lancia un confronto con un’altra giovane morte che ha scosso i ferraresi, quella di Federico Aldrovandi. “Il far finta di non vedere – scrive il sacerdote – per non compromettersi, è stata la costante anche della vicenda di Federico, rotta solo da una camerunense (la prima testimone a riferire di un ruolo ‘attivo’ di quattro agenti di polizia nella morte del giovane, ndr) che in qualche modo ci ha redenti. Ma non abbiamo imparato la lezione”.

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