Martina Rossi non si uccise: Cassazione conferma condanne a 3 anni per tentata violenza sessuale Martina Rossi non si uccise: Cassazione conferma condanne a 3 anni per tentata violenza sessuale

Martina Rossi non si uccise: Cassazione conferma condanne a 3 anni per tentata violenza sessuale

Condanne in via definitiva a 3 anni per Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, i due giovani aretini accusati di tentata violenza sessuale di gruppo in relazione alla morte di Martina Rossi. La Cassazione ha giudicato in ammissibili i ricorsi dei due imputati, confermando le condanne e ponendo la parola fine che i genitori di Marina hanno tanto atteso. 

La giovane studentessa genovese, per i giudici, non si è uccisa, ma è precipitata dal balcone dell’hotel Santa Ana a Palma di Maiorca nel tentativo di sfuggire a una violenza sessuale. A questa conclusione dopo 10 anni sono arrivati i processi.

Martina Rossi, le reazioni della famiglia alla sentenza

Ora papà Bruno Rossi può rivolgersi alla figlia: “Non ci deve essere più nessuno che si possa permettere di far del male a una donna e passarla liscia. Adesso posso dire a Martina che il suo papà è triste perché lei non c’è più, ma anche soddisfatto perché il nostro paese è riuscito a fare giustizia”.

“Martina – ha detto l’avvocato della sua famiglia, Luca Fanfani – è morta in conseguenza di un tentativo di stupro, non esiste un’altra verità. Ora la Spagna chieda scusa per come archiviarono dopo tre ore e affittarono la camera”.

Martina Rossi, la sentenza della Cassazione

Ci sono volute sette ore di udienza e due di camere di consiglio, poi la quarta sezione penale ha dichiarato inammissibili i ricorsi della difesa dei due giovani aretini, ormai trentenni. Martina Rossi è morta 10 anni fa a Palma di Maiorca, cadendo dal balcone di un albergo mentre era in vacanza con le amiche.

La vicenda processuale è stata lunga, tanto che la pronuncia della Cassazione è arrivata nell’imminenza della prescrizione. Per la procura generale non c’erano dubbi: la sentenza è giusta e va resa definitiva. Secondo la pg Elisabetta Ceniccola la ragazza non si è suicidata, come si è creduto all’inizio, e come vuole la tesi difensiva, ma ha scavalcato la balaustra, finendo di sotto, per sfuggire a un tentativo di violenza sessuale, e il reato non si è prescritto. Ha chiesto per questo di respingere i ricorsi di entrambi gli imputati.

Martina Rossi, la requisitoria del Pg

La sua requisitoria si è soffermata in particolare sulla qualificazione del reato, 609 octies, violenza sessuale di gruppo, e non 609 bis, dalla quale dipendono anche i termini di prescrizione (quello di morte in conseguenza di altro reato è già prescritto ed è uscito dal processo).

Per la pg è giusta la ricostruzione della Corte d’appello di Firenze, che vede la “la compresenza” dei due nella stanza d’albergo e non di uno solo perché l’altro dormiva, come pure è stato ipotizzato nel processo: questo “ha influito negativamente” sulla reazione di Martina, “che si è sentita a maggior ragione in uno stato di soggezione e impossibilitata a difendersi”.

Motivo per cui la ragazza, ha sostenuto la pg, avrebbe scelto una via di fuga “più difficile”, che la metteva in pericolo: invece che uscire dalla porta, Martina ha scavalcato la balaustra, “ma non si è gettata con intento suicidiario”.

Poi, ha ricordato la pg, c’è il fatto che sul corpo della ragazza ci fossero delle lesioni non compatibili con la caduta, i graffi su uno dei due ragazzi, e il fatto che la ragazza non avesse i pantaloncini, che non sono stati ritrovati, ed è “illogico” che fosse andata in giro per l’albergo senza.

Martina Rossi, i processi

I due giovani della provincia di Arezzo erano stati prima condannati a 6 anni, poi assolti il 9 giugno del 2020 “perché il fatto non sussiste” dalla Corte d’appello di Firenze che ha dato per buona l’ipotesi del suicidio, ed era stata la stessa Cassazione a riaprire il caso, rilevando errori e sottovalutazioni in quella decisione, e disponendo un processo bis, nel quale poi sono stati condannati ad aprile.

A fine agosto il processo era già approdato nuovamente in Cassazione, davanti alla sezione feriale, temendo la prescrizione prima di poter essere trattato dalla sezione competente per materia. In quella sede è stato però calcolato che non dovrebbe scattare prima di metà ottobre. 

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