ROMA – “Voglio avere giustizia, ma la Corte d’assise mi impedisce di provare che il Dna sul corpo di Yara non è mio”.
Questo lo sfogo, raccolto da Libero, di Massimo Bossetti, il muratore di Mapello condannato all’ergastolo, dopo tre gradi di giustizia, per l‘omicidio di Yara Gambirasio.
I legali dell’uomo contestano la decisione di negare la revisione del materiale genetico.
Dopo la decisione della Corte, “nessuno può capire davvero – scrive Bossetti – quanto sia dura sia fisicamente che psicologicamente.
Ogni ora è un giorno ed ogni giorno è una settimana e la sofferenza si abbatte giorno e notte nello status di detenuto, aggravato ancor di più da una accusa infamante quale l’omicidio di una povera bambina”.
“Resisto – scrive il muratore di Mapello a Libero – fondamentalmente per i miei cari familiari che non hanno mai smesso di credere in me, per tutte le persone che mi stanno accanto e che mi vogliono bene e soprattutto perché dimostrare la mia innocenza è diventata fonte della mia ragione di vita.
Una persona innocente deve essere disposta a tutto, anche a morire, se dovrà essere necessario farlo. La mia colpa è quella di essere innocente e il vero problema è di essere un cittadino assalito da un terribile errore giudiziario”.
“Non voglio attaccare la magistratura perché ho rispetto di questo potere dello Stato – scrive il legale – Però dico che sono rimasto basito da questo provvedimento.
Basito perché per due volte la Corte d’Assise di Bergamo ci dice di sì, che si possono fare queste attività, e poi la stessa Corte d’Assise quando gli chiediamo “come e quando fare queste attività ci risponde che è inammissibile”. (Fonte: Libero).