BERGAMO – Perdono la pazienza gli avvocati di Bossetti, pochi minuti dopo la sentenza che ha condannato all’ergastolo il loro assistito per l’omicidio di Yara Gambirasio. E al giornalista che li aspettava fuori dall’aula, gli avvocati di Bossetti rispondono così: “Rito abbreviato? Vada a scuola a studiare…”.
La prima notte in carcere dopo la condanna in primo grado all’ergastolo Massimo Giuseppe Bossetti l’ha trascorsa nella sua cella nella casa circondariale di via Gleno a Bergamo. Penitenziario dove è rinchiuso dal 16 giugno del 2014 con l’accusa di aver ucciso Yara Gambirasio. Nulla al momento trapela dal carcere di Bergamo e non è ancora chiaro se e quando il muratore di Mapello potrà incontrare i familiari, in particolare la moglie Marita Comi e i figli, dopo la pesante condanna inflitta ieri dalla Corte d’Assise del tribunale di Bergamo. Non è servita l’ultima supplica di Massimo Bossetti, peraltro ben oltre il tempo limite: “Ripetete il Dna perché non è mio”. I giudici della Corte d’assise di Bergamo hanno dimostrato di pensarla diversamente sulla cosiddetta ‘prova regina’ e, dopo oltre dieci ore di camera di consiglio, ne sono usciti pronunciando “nel nome del popolo italiano” la parola che il muratore di Mapello più temeva: “ergastolo”. E ne hanno aggiunte altre, di parole, forse altrettanto dolorose per Bossetti: non avrà più la patria potestà sui suoi tre figli, ancora minorenni. Bossetti ha accolto la sentenza senza scomporsi, sollevando gli occhi al cielo. Poco dopo, ai suoi legali ha detto “Non è giusto, è una mazzata, avevo fiducia nella giustizia”.