BERGAMO – Ci sono tre buchi nell’alibi di Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere con l’accusa di avere ucciso Yara Gambirasio. Ne parla Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera: sono una fattura, una mancata ricevuta (il giorno in cui scomparve Yara Bossetti non mangiò nel ristorante in cui pranzava ogni giorno) e le tracce del suo telefonino, agganciato in una zona diversa dal solito. Questi tre indizi si andrebbero ad aggiungere alla prova principe dell’accusa nei confronti del carpentiere di Mapello: la prova del dna sui leggings di Yara e i fili del furgone di Bossetti ritrovati sugli stessi leggings.
Racconta Sarzanini: Il primo è una fattura datata 26 novembre per l’acquisto «con il suo autocarro di materiale edile e un giubbotto presso una ditta a Villa D’Adda». Manca poi la ricevuta del pranzo «presso il ristorante Ca-Sabi attiguo al cantiere di Palazzago, dove Bossetti risulta aver pranzato dalle 12 alle 13 tutti gli altri giorni lavorativi di novembre». E infine i dati del traffico telefonico con il cellulare agganciato «alle 17,45 dalla cella telefonica di Mapello», dunque in una zona completamente diversa.
Altri elementi che giocano contro Bossetti, secondo l’accusa, sono la mancanza di un vero e proprio alibi sui 45 minuti che dividono la scomparsa di Yara dal ritorno a casa di Bossetti e la testimonianza di Giovanni Bossetti, padre putativo (dopo le analisi del dna si è scoperto che il suo padre naturale era Giuseppe Guerinoni). Stando a quanto dice Giovanni Bossetti, scrive Sarzanini, il carpentiere avrebbe chiamato la madre Ester Arzuffi il giorno del ritrovamento del cadavere di Yara, per chiederle di andare dove si trovava lui: e cioè proprio a Chignolo d’Isola, il luogo del ritrovamento: “Ritengo giusto informarvi che i giorni del rinvenimento della bambina, mio figlio Massimo, mentre passava da Chignolo d’Isola, ha avvisato mia moglie di quanto stava accadendo chiedendole se volesse raggiungerlo, ma lei ha declinato”.