Massimo Giuseppe Bossetti: “Non ho ucciso Yara, test del Dna si sbaglia”

Massimo Giuseppe Bossetti: "Non ho ucciso Yara, test del Dna si sbaglia"
Massimo Giuseppe Bossetti: “Non ho ucciso Yara, test del Dna si sbaglia”

BERGAMO – “Sono innocente e lo dimostrerò in tribunale. Non sono il killer di Yara Gambirasio, il test del dna è sbagliato”. Massimo Giuseppe Bossetti, in carcere da 200 giorni con l’accusa di aver ucciso e seviziato la tredicenne di Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo.

Bossetti per la prima volta rompe il silenzio mediatico e rilascia un’intervista a Paolo Berizzi di Repubblica:

“«Sono stato dipinto come un mostro — dice — accusato di un reato orribile. Ma io con la morte di quella povera ragazzina non c’entro niente. In carcere le rivolgo ogni giorno un pensiero. Spero che al processo venga fuori la verità».

Il carpentiere di Mapello spiega di aver rotto il silenzio mediatico perché i giornali lo hanno già condannato:

“«Perché hanno fatto indagini in un’unica direzione, è come se l’opinione pubblica, i media, mi avessero già condannato. Ancora prima del processo. Invece sono pronto a dimostrare la mia innocenza: e lo farò in aula. Non sono io il killer di Yara»”.

Bossetti nega anche il test del Dna, che lo colloca sul luogo del delitto:

“«Sul mio dna deve essere stato fatto un errore. Io, come ho sempre detto, non ho mai conosciuto né visto Yara. Dopo la Cassazione (udienza il 25 febbraio, si discuterà la richiesta di scarcerazione presentata dalla difesa; le richieste precedenti erano già state respinte dal gip di Bergamo e dal Tribunale del Riesame di Brescia, ndr ) con il mio avvocato chiederemo eventualmente la ripetizione dell’esame del dna».

Per dimostrare cosa?

«Ammesso sia davvero mia, quella traccia potrebbe essere finita lì, come ho detto ai magistrati, a causa dell’epistassi di cui soffro da sempre. Anche sul lavoro. Il mio sangue potrebbe essere finito su degli attrezzi usati dall’assassino. In cantiere ho perso spesso sangue dal naso, lo sanno anche i miei colleghi. Non ho accusato nessuno, ma ho offerto spunti, piste alternative. Finora non mi hanno ascoltato»”.

Anche per il furgone, ripreso a girare intorno al centro sportivo fino a pochi minuti prima della scomparsa di Yara, non prova nulla per Bossetti:

“«Quelle immagini non provano niente. Ho raccontato e confermato che passavo sempre spesso, da Brembate di Sopra tornando dal lavoro. Anche per delle commissioni. Che il mio furgone sia stato ripreso per strada dalle telecamere non fa di me un assassino. Non ho mai fatto mistero delle mie abitudini, delle mie giornate. Ho raccontato tutto della mia vita, anche i particolari più intimi e privati. Ho ribadito di essere disposto a rispondere a qualsiasi domanda in nome della ricerca della verità. Dopodiché la mia memoria non è indelebile».

Si è contraddetto sugli spostamenti di quel giorno.

«Sfido chiunque a ricordarsi esattamente che cosa ha fatto quattro anni prima, soprattutto quando ha una vita fatta di giornate fotocopia, una identica all’altra. Il fatto è che hanno rivoltato la mia vita e non hanno trovato niente. Come non hanno trovato nessuna traccia riconducibile a Yara sul mio furgone e sulla mia auto. E nemmeno su tutto quello che hanno sequestrato con le perquisizioni in casa. Non avevo e non ho segreti, altrimenti credo sarebbero emersi».”

Bossetti ribadisce la sua innocenza e spiega che è la spinta che gli permette di non crollare in carcere:

“«È il mio carattere, sono fatto così. Cerco di farmi forza ogni giorno. Se sei in carcere da innocente puoi avere dentro anche tutta la disperazione del mondo ma, allo stesso tempo, trovi anche la forza per non mollare. Ho ricevuto pressioni fortissime, hanno cercato di convincermi in ogni modo a confessare: hanno provato a allettarmi con il conto degli anni, la riduzione della pena, 20 anni anziché 30… Speravano che crollassi. Ma non ho confessato perché non ho niente da confessare»”.

 

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