Corte Costituzionale rigetta i ricorsi: i matrimoni gay restano illegittimi

La Corte Costituzionale ha rigettato i ricorsi sui matrimoni gay presentati dal Tribunale di Venezia e dalla Corte di Appello di Trento per chiedere l’illegittimità di una serie di articoli del codice civile che impediscono le nozze tra persone dello stesso sesso.

I giudici della Consulta – secondo quanto appreso dall’Ansa – nelle motivazioni della decisione presa stamane in camera di consiglio dovrebbero puntualizzare che compete alla discrezionalità del legislatore la regolamentazione dei matrimoni gay.

La Corte Costituzionale – ha successivamente reso noto Palazzo della Consulta – ha rigettato i ricorsi sui matrimoni gay dichiarando inammissibili le questioni sollevate dai Tribunale di Venezia e dalla Corte di Appello di Trento in relazione all’ipotizzata violazione degli articoli 2 (diritti inviolabili dell’uomo) e 117 primo comma (ordinamento comunitario e obblighi internazionali) della Costituzione.

I ricorsi sono stati invece dichiarati infondati in relazione agli articoli 3 (principio di uguaglianza) e 29 (diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio). Le motivazioni della decisione si conosceranno nei prossimi giorni e saranno scritte dal giudice costituzionale Alessandro Criscuolo.

Le vicende prese in esame dalla Corte Costituzionale sono due: una ha origine a Venezia, l’altra a Trento. A Venezia una coppia di omosessuali si è vista negare le pubblicazioni di matrimonio. Il Comune ha motivato il rifiuto con la “ritenuta estraneità all’ordinamento giuridico italiano dell’istituto del matrimonio tra persone dello stesso sesso”. Dunque, l’ufficiale di stato civile non poteva sposare la coppia per non infrangere la legge.

La coppia ha allora presentato ricorso al Tribunale di Venezia, nella speranza di far dichiarare illegittimo il rifiuto. Il tribunale, con un’ordinanza del 3 aprile 2009, ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità: i giudici veneziani chiedono dunque alla Consulta se vietare il matrimonio alle coppie gay sia conforme alla Costituzione italiana.

Nell’ordinanza, il Tribunale ha scritto che non ha “alcuna giustificazione razionale” la norma “implicita nel nostro sistema, che esclude gli omosessuali dal diritto di contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso”. Il provvedimento ipotizza quindi il contrasto di quelle disposizioni con più principi della Carta, a cominciare da quello di uguaglianza (articolo 3) e dal riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo (articolo 2).

A Trento hanno invece presentato ricorso Enrico Oliari, il presidente di Gaylib (associazione dei gay vicina al centrodestra), e il suo compagno. Anche in questo caso i giudici hanno rimesso alla Corte Costituzionale il giudizio di legittimità sulla negazione del matrimonio alle coppie omosessuali.

Entrambe le coppie sono assistite dall’associazione radicale “Certi Diritti” e dalla “Rete Lenford – avvocatura per i diritti lgbt” (lesbiche, gay, bisessuali e transgender).

Nell’Unione Europea sono 6 i Paesi che hanno già legalizzato il matrimonio gay. L’ultimo, in ordine di tempo, è stato il Portolgallo: l’8 gennaio 2010 il parlamento portoghese ha approvato un disegno di legge che ha regolarizzato le nozze tra omosessuali. Oltre al Portogallo, i matrimoni gay sono già legali in Belgio, Norvegia, Svezia, Spagna e Olanda.

L’Olanda è stato il primo Paese al mondo a legalizzare le nozze tra coppie dello stesso sesso: nei Paesi Bassi i gay possono sposarsi dall’1 aprile 2001. Sono seguiti, in ordine cronologico, il Belgio (2003), la Spagna (2005), Norvegia e Svezia (2008).

La lunga storia legislativa della regolamentazione. Una volta erano i Pacs (patti civili di solidarietà), poi è stata l’era dei Dico (diritti e doveri di convivenza), subito soppiantati dai Cus (contratti di unione solidale), che però hanno presto lasciato il posto ai Didoré (diritti e doveri di reciprocità dei conviventi), forse la sigla più fantasiosa e “musicale” mai trovata per definire le norme sulle unioni civili. Ma anche i Didoré sembrano ormai “morti” e dimenticati nei cassetti di Montecitorio.

Dopo il pronunciamento della Consulta, sembra proprio che in Italia non si riesca a trovare la strada giusta per regolamentare le coppie di fatto, eterosessuali e omosessuali. A differenza di tanti altri Paesi europei, dove già da tempo esistono varie forme di riconoscimento delle unioni civili e in alcuni, come Spagna, Belgio, Olanda, Norvegia, Portogallo, gli omosessuali si possono sposare. In Svezia possono farlo addirittura in chiesa.

E anche fuori dall’Europa non mancano gli esempi di matrimonio gay: Canada, Sudafrica, alcune regioni o municipi di tre grandi Paesi latinoamericani (Argentina, Brasile e Messico) a sei stati Usa. Da noi, invece, le coppie, sia eterosessuali che omosessuali, aspettano da anni di vedere riconosciuti alcuni diritti (ma anche doveri), a cominciare da quello della reversibilità della pensione passando per l’assistenza al partner malato in ospedale, le decisioni sulle modalità del funerale del compagno deceduto, fino ai diritti sull’eredità. Tutte cose che per le coppie sposate sono la normalità, e che invece a chi ha deciso (per scelta o per necessità) di non unirsi in matrimonio vengono negate.

Ma se per le coppie eterosessuali alla fine c’é sempre l’alternativa “tradizionale” del matrimonio, per quelle omosessuali il dubbio non si pone: la legge italiana non consente loro di sposarsi. E quindi l’unica strada possibile per queste persone resta quella del riconoscimento dell’unione di fatto: da ciò l’importanza, per gay e lesbiche, di una legge che regolamenti queste unioni. E proprio il fallimento delle ultime iniziative parlamentari – al quale non è stata estranea la posizione vaticana di assoluto diniego a ogni tentativo di regolamentazione delle unioni di fatto – ha “costretto” la comunità omosessuale ad alzare il tiro e puntare al diritto a sposarsi.

Ecco perché le associazioni hanno definito “storico” il pronunciamento che della Corte costituzionale che però ha rigettato i ricorsi presentati da alcune coppie omosessuali contro il diniego dei rispettivi Comuni di residenza di autorizzare le pubblicazioni matrimoniali.

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