Test medicina, se anche il primario non viene ammesso…sbaglia 15 domande su 80

(LaPresse)

ROMA – Per essere un bravo medico devi conoscere il taoismo? Il medico Giuseppe Remuzzi se l’è chiesto in un articolo sul Corriere della Sera. Lui, che ha sbagliato 15 domande su 80, “esercitandosi” con le simulazioni dei test d’ingresso che migliaia di aspiranti medici italiani dovranno sostenere. Lui che è un nefrologo italiano di fama internazionale, membro dell’Advisory Board delle riviste mediche Lancet e New England Journal of Medicine, non sarebbe entrato, oggi, a medicina.

Remuzzi scrive sul Corriere:

“Non so di cosa è morto Gandhi e me ne vergogno. Di questi tempi per fare il dottore lo si dovrebbe sapere, e anche chi ha scritto «Barbablu». Così era il test d’ingresso per la scuola di medicina fino a qualche anno fa. E il prossimo (che si terrà nei primi giorni di settembre) come sarà? A giudicare dall’«esercitatore prove d’ammissione accesso programmato» (http://www.universitaly.it/simulatore/home.php) non è cambiato molto”.

Domande di logica, cultura e attualità che, per Remuzzi, poco c’entrano con le abilità che un medico deve avere. Eppure sono quelle le domande che impediscono a giovani e volenterosi aspiranti medici di non intraprendere una carriera per cui sarebbero più che portati. Scrive Remuzzi:

“Partiamo dalle domande di logica. Eccone una: «L’ipotesi di Ronald E. Smith è che studenti molto ansiosi, se ridono durante gli esami, hanno prestazioni più brillanti. In quelli meno ansiosi non funziona». Ci sono quattro possibili risposte. Quella giusta sarebbe «formulare le domande in termini umoristici non dà vantaggio a studenti poco ansiosi». Ma che logica c’è in tutto questo? La risposta è nella domanda”.

Secondo Remuzzi la selezione per un futuro medico dovrebbe guardare altro: la sua etica, ad esempio sulle staminali, la sua preparazione, anche storica, su malattie come l’Aids. Non di certo il taoismo o le poesie di Gabriele D’Annunzio:

“In questo test non c’è nulla che aiuti a capire se il futuro medico saprà parlare con gli ammalati. All’Università della Virginia chi dimostra garbo e sensibilità e buon senso viene ammesso. Se no è fuori. Quando questi ragazzi saranno laureati gli interventi chirurgici li faranno i robot e il 90 percento della medicina sarà information technology. Già oggi i miei colleghi più giovani hanno tutto nell’iPhone, su queste tecniche non c’è nulla. E non c’è nemmeno una domanda d’inglese che da anni ormai è la lingua della medicina”.

E poi arriva l’ammissione. Forse sarebbe stato bocciato, Remuzzi, e non avrebbe mai potuto far carriera nel suo “meraviglioso lavoro”. Ma fare il dottore non è certo per tutti, e lui lo sa:

“Fare il dottore è un po’ come fare il cuoco o guidare l’aereo, bisogna essere portati: chi è troppo introverso o troppo scontroso o troppo facile a seccarsi è bene che non ci provi nemmeno. E anche chi non è disponibile a studiare tutta la vita. Insomma, certi non vanno bene anche se sanno l’origine della tragedia greca”.

E se un paziente avrà un medico che conosce i poemi epici e le filosofie orientali, ma ha difficoltà a rapportarsi con lui, forse, sapere della sua grande cultura, non sarà un sollievo. Forse, avrebbe preferito un medico anche un po’ “ignorante” o affatto intellettuale, ma che dell’etica medica, della scienza e della cura del malato ha fatto la sua vita.

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