PERUGIA – Amanda Knox e Raffaele Sollecito assolti. Per la Cassazione non furono loro ad uccidere Meredith Kercher quella maledetta notte tra il primo e il 2 novembre 2007 a Perugia. “Non hanno commesso il fatto”, è il verdetto definitivo.
I due erano stati condannati in appello a 25 anni di reclusione il primo e a 28 anni e sei mesi la seconda. Amanda è stata condannata a tre anni per aver calunniato Patrik Lumumba, accusandolo dell’omicidio nella prima fase delle indagini, ma non andrà in prigione dal momento che la pena è già stata scontata.
“E’ finita… è finita…”, ha gridato in lacrime il papà di Sollecito, Francesco. “Stiamo piangendo di gioia” è riuscito solo ad aggiungere. Gli fa eco la figlia Vanessa, la sorella di Raffaele: “Finalmente è finita”.
Lui è scoppiato a piangere non appena ha ricevuto la notizia. “Sono immensamente felice”, ha detto parlando al telefono con l’avvocato Francesco Mastro. “Finalmente posso riprendermi la mia vita – ha aggiunto – Sono ancora incredulo. Finalmente non dovrò più occuparmi di carte giudiziarie e posso tornare alla normalità”. Poi ringrazia i giudici: “Sono immensamente felice che quella stessa magistratura che mi ha condannato ingiustamente mi ha restituito oggi la dignità e la libertà”.
Grande euforia anche oltreoceano, a Seattle, dove vive Amanda Knox. Mentre i suoi avvocati già pensano al “risarcimento per ingiusta detenzione”: l’ha detto l’avvocato Carlo Della Vedova dopo aver comunicato per telefono l’incredibile notizia alla ragazza. Amanda è stata condannata a tre anni per calunnia, ma ha sofferto una carcerazione preventiva superiore alla pena inflittale, motivo per cui in linea di principio avrebbe diritto ad un risarcimento. In ogni caso Amanda è ora “enormemente sollevata e grata per la decisione della Cassazione italiana”. E aggiunge che: “La consapevolezza della mia innocenza mi ha dato la forza nei tempi più bui di questo calvario, in cui ho avuto l’inestimabile sostegno della mia famiglia, degli amici e di sconosciuti”
E poi c’è stato l’urlo di gioia dell’avvocato Giulia Bongiorno, difensore di Sollecito, alla lettura della sentenza che ha ricordato quello che lei stessa fece in occasione dell’assoluzione di Giulio Andreotti, che pure difendeva. “E’ stata una battaglia durissima, era pacifico che Sollecito è innocente, e questa Cassazione ha avuto il coraggio di affermarlo”.
Sentenza “difficile da digerire”, invece, per la famiglia Kercher che in questi otto anni ha visto Amanda e Raffaele condannati in primo grado, poi assolti una prima volta in appello e condannati la seconda, dopo che la Cassazione aveva annullato le assoluzioni e rinviato il processo in Corte d’assise d’appello a Firenze.
L’unico punto fermo della vicenda giudiziaria rimane Rudy Guede, il solo degli imputati che ha scelto il rito abbreviato ed è stato ormai definitivamente condannato a 16 anni di reclusione che sta scontando nel carcere di Viterbo. L’ivoriano ha ammesso la sua presenza nella villetta del delitto, affermando però di essere stato in bagno mentre la Kercher veniva uccisa da altre due persone. Guede ha poi sostenuto più o meno espressamente che in casa c’erano Sollecito e la Knox.
Lei, originaria di Seattle, era arrivata a Perugia per studiare scrittura creativa all’Università per Stranieri. Appassionata di yoga e calcio era da poco fidanzata con Raffaele, conosciuto a un concerto di musica classica. Lui, amante tra l’altro di fumetti manga, all’epoca frequentava ingegneria informatica in cui si è laureato in carcere specializzandosi poi da libero in realtà virtuale.
Le immagini di Sollecito e della Knox abbracciati davanti all’ingresso della casa di via della Pergola hanno fatto il giro del mondo. I due hanno però sempre negato di essere stati nella villetta la sera dell’omicidio. Erano invece – hanno detto più volte – a casa di Sollecito dove avrebbero dormito.
Una versione alla quale non ha tuttavia creduto la polizia che ha condotto una complessa indagine coordinata dal sostituto procuratore Giuliano Mignini (poi affiancato in dibattimento da Manuela Comodi). Per gli inquirenti le tracce di Dna (come quello di Sollecito sul gancetto del reggiseno della studentessa inglese), le impronte (anche di piedi nudi insanguinati) e le testimonianze raccolte collocano i due giovani nell’abitazione mentre la Kercher veniva uccisa. Un omicidio con un movente a sfondo sessuale ha ipotizzato inizialmente l’accusa. Collocato in un quadro che ha portato all’arresto e alla condanna in primo grado dei due giovani ma anche a quella definitiva di Guede.
Elementi che le difese di Sollecito e della Knox hanno ritenuto da subito non certi. Dando battaglia in particolare sull’attendibilità della prova genetica (il gancetto di reggiseno repertato dalla polizia scientifica dopo diversi giorni di sopralluoghi) e quella delle testimonianze, in particolare di Guede. Tesi accolte dai giudici d’appello perugini che hanno assolto i due giovani, rendendoli di nuovo liberi, con una sentenza poi però annullata dalla Cassazione e ribaltata in appello a Firenze con una nuova condanna. Ora i supremi giudici hanno messo la parola fine assolvendo definitivamente Amanda e Raffaele.