“Mi chiamo Pietro Grasso, siamo cugini”. Il vigile omonimo chiedeva tangenti

"Mi chiamo Pietro Grasso, siamo cugini". Il vigile omonimo chiedeva tangenti
Il presidente del Senato, Pietro Grasso

REGGIO CALABRIA – “Il mio nome è Pietro Grasso, dammi i soldi e ti faccio assumere”. Così un vigile, omonimo del Presidente del Senato e assolutamente non imparentato con lui, chiedeva tangenti in cambio di “raccomandazioni” con timbri e documenti falsi. Diceva a tutti di essere suo cugino (“Siamo figli di due fratelli”) e ad ogni occasione da sfruttare millantava conoscenze politiche, in magistratura e persino nei servizi segreti. Il prezzo variava tra i 5 e i 15 mila euro.

Illudeva mogli e figli di disoccupati in una città, Reggio Calabria, dove il tasso di disoccupazione sfiora l 40%. La gente pagava senza esitare: il vigile Grasso si presentava a tutti come l’uomo della Provvidenza al quale bastava fornire la giusta motivazione per poter ottenere la sua “benevolenza”.

Per dimostrare che le sue raccomandazioni andavano a buon fine rilasciava documenti falsi. La Finanza gli avrebbe trovato in casa una vera e propria stamperia: carte intestate, timbri, bolli coi quali “certificava” le sue truffe.

Ora Grasso ha ricevuto un avviso di garanzia: è accusato dalla Procura di Reggio Calabria di truffa aggravata. Il comandante del corpo della polizia municipale Domenico Crupi lo ha allontanato dal reparto radiomobile dove prestava servizio, trasferendolo all’ufficio anagrafe di Archi, un quartiere periferico di Reggio Calabria, dove comandano le cosche della ‘ndrangheta De Stefano e Tegano.

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