LAMPEDUSA (AGRIGENTO) – Sono arrivati da soli su una barca di legno senza che nessuno li intercettasse prima dell’ingresso nelle acque nazionali: così 48 migranti sono approdati a Lampedusa. Loro sono i sopravvissuti: raccontano di diversi morti, caduti in mare e travolti dalle onde. Tra questi, anche un bambino di cinque mesi e un giovane di 30 anni.
Ai volontari della Federazioni delle chiese evangeliche che li hanno accolti hanno raccontato che erano in mare da due giorni dopo esser partiti dalla Libia. La dinamica è ancora tutta da chiarire, mentre non c’è alcun dubbio su quale siano le condizioni delle 27 donne, di cui tre incinte, dei sei bambini e dei quindici uomini approdati sull’isola siciliana. “Molti tra i sopravvissuti – dicono i volontari della Federazione delle chiese evangeliche – erano gravemente disidratati, mentre altri presentavano seri problemi respiratori causati dai fumi di scarico del motore”. Condizioni che hanno spinto i medici sulla banchina del porto di Lampedusa a somministrare flebo e ossigeno ai casi più gravi prima di trasferirli nel poliambulatorio dell’isola.
Non hanno invece ancora un porto dove sbarcare le 121 persone da cinque giorni a bordo della Open Arms, che continua a navigare ad una trentina di miglia da Lampedusa in acque internazionali. “E’ incredibile che l’Europa non tenga conto della situazione, che i diritti di queste persone siano calpestati e continuino a lasciarci alla deriva” dice il fondatore della ong catalana Oscar Camps, ribadendo la richiesta di un porto sicuro.
Ma l’Italia, dopo il divieto d’ingresso firmato dai ministri Matteo Salvini, Danilo Toninelli ed Elisabetta Trenta, continua a non rispondere mentre Malta, dopo aver accolto le 40 persone a bordo della Alan Kurdi, ha negato l’approdo alla nave spagnola invitandola a rivolgersi allo Stato di bandiera. E dunque la situazione a bordo è destinata a peggiorare.
“Abbiamo già avuto qualche piccola crisi – conferma Camps – tutti hanno bisogno di assistenza psicologica e medica immediata”. Quel che è certo è che nei prossimi giorni aumenterà la presenza delle navi delle Ong davanti alla Libia e, dunque, salirà la tensione politica: alla Alan Kurdi, che attualmente naviga davanti alle coste di Zuwarah, si aggiungerà la Ocean Viking, una nave di 70 metri battente bandiera norvegese noleggiata da Sos Mediterranee e Msf che ha lasciato il porto di Marsiglia.
“Queste morti e sofferenze in mare e in Libia – dice la presidente di Msf, Claudia Lodesani – sono evitabili e mentre gli Stati continuano a evitare le proprie responsabilità e i propri obblighi di soccorso, noi faremo del nostro meglio per continuare a salvare vite”.
Anche perché le notizie che continuano ad arrivare dal nord Africa confermano in quale inferno sono costretti a vivere quotidianamente i migranti. L’ultima arriva dall’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni): 36 ivoriani, tra cui undici donne, di cui una incinta, e quattro bambini piccoli, sono da oltre 48 ore bloccati in un limbo alla frontiera con la Libia, “in uno stato di estrema vulnerabilità, abbandonati a loro stessi senza acqua né cibo”.
L’Organizzazione delle migrazioni ha chiesto alle autorità tunisine un intervento urgente, affinché soccorrano i migranti e forniscano loro acqua, cibo e cure mediche. “La vita dei migranti, come ogni vita umana, è importante e portare soccorso alle persone in pericolo è responsabilità di tutti” conclude l’Oim. (Fonte: Ansa)