Milano e l’integrazione lontana: il 90 per cento delle ragazze straniere ha subito discriminazioni

MILANO – Sguardi di disprezzo malcelato, atti di prevaricazione e, a volte, espliciti comportamenti razzisti. Non è semplice la vita dei giovani stranieri nel nostro Paese, dove ancora resistono delle sacche di intolleranza.

A testimoniarlo i dati del progetto “Spunti di vista” promosso dall’Arci con il sostegno dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), secondo il quale a Milano il 90 per cento delle ragazze tra i 26 e i 30 anni avrebbe subito episodi di discriminazione a sfondo razzista (percentuale che scende a quasi il 60 per cento tra gli uomini).

Metodo. La ricerca è stata condotta distribuendo dei questionari a circa 600 giovani di origine straniera del capoluogo lombardo e di Messina, due tra le città con la maggior presenza di ragazzi di “seconda generazione”. E anche usando come riferimento fasce d’età diverse i numeri, pur migliorando, restano allarmanti: sono infatti circa il 70 per cento le ragazze tra i 19 e i 25 anni ad aver subito discriminazioni (30 per cento tra i ragazzi), mentre la percentuale cala al 40 per cento per le adolescenti tra i 15 e i 18 anni (10 per cento per i loro coetanei maschi). «Ciò che emerge – spiega Tania Poguish, tra le responsabili della ricerca – è che le persone nate in Italia o che vivono qui da moltissimo tempo mostrano segnali di sofferenza quando si trovano nei luoghi pubblici, condizione non riscontrabile a lavoro o a scuola»: i comportamenti denunciati vanno dall’odioso appellativo “negro” alla giovane invitata ad allontanarsi da un negozio di gioielli e ad andare “dove le cose costano meno”.

Sensibilizzazione. Tra gli obiettivi di “Spunti di vista” c’è anche quello, attraverso dei corsi di formazione, di fornire ai giovani di origine straniera gli strumenti per raccontare, ad esempio attraverso un video autoprodotto, la loro quotidianità, le loro aspettative e il loro rapporto con la società: «Già sentirmi chiamare “seconda generazione” mi manda un po’ in confusione – spiega Ahmed Abdel Aziz, portavoce dei Giovani Musulmani d’Italia – perché si intende ancora seconda generazione di immigrati, mentre sarebbe più corretto parlare di prima generazione di nuovi italiani». Una sensazione diffusa, come conferma Tasmin Al Saghir, 23enne studentessa di origine tunisina: «Mi sento di seconda generazione perché me lo dicono gli altri. Credo che gli italiani abbiano solo un po’ di paura, perché sono molto legati alla loro identità. Ma sono anche un popolo buono e aperto, basta riuscire a rompere il ghiaccio e poi va tutto bene».

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