BERGAMO – Ci sono voluti quasi tre anni prima che il nome di Mohamed Fikri, piastrellista marocchino e unico indagato per la morte di Yara Gambirasio fino all’arresto di Massimo Giuseppe Bossetti, venisse completamente riabilitato. Ora la Corte d’Appello di Brescia gli ha riconosciuto 9mila euro di risarcimento per quei tre giorni di carcere a dicembre 2010. Passando per un’accusa di omicidio e una di favoreggiamento, quattro udienze, 16 traduzioni della frase che lo aveva incriminato e vari accertamenti scientifici.
I guai per lui iniziarono la sera del 4 dicembre 2010, una settimana dopo la scomparsa di Yara. Con una rocambolesca operazione disposta dalla Procura, i carabinieri raggiunsero un traghetto salpato da Genova e sul quale Fikri stava raggiungendo Tangeri. La sua appariva, in quel momento, come una fuga: poche ore prima i carabinieri avevano intercettato una telefonata, nella quale, secondo una prima traduzione, Fikri avrebbe detto: “Che Allah mi perdoni, non l’ho uccisa io“.
All’epoca non si sapeva ancora che la ragazza era stata uccisa (il corpo verrà ritrovato, per caso, soltanto il 26 febbraio 2011, a tre mesi esatti dalla scomparsa), e dunque quella frase, pronunciata da un immigrato che, la notte del 26 novembre 2010, data in cui Yara sparì, lavorava nel cantiere di Mapello, dove i cani molecolari avevano indugiato a lungo, era sembrata agli inquirenti una svolta nell’inchiesta.
Invece, ascoltate da altri interpreti, quella parole vennero tradotte in modo del tutto diverso: “Mio Dio, facilitami nella partenza”. E ciò spinse il pm di Bergamo Letizia Ruggeri a chiedere l’archiviazione per Fikri, il quale dopo tre giorni di carcere fu rilasciato con tanto di scuse. Venne, infatti, nel frattempo appurato che l’immigrato non stava scappando in Marocco, ma che era partito per un viaggio già programmato.
In una seconda chiamata, tra l’altro, la fidanzata gli chiedeva: “L’hanno uccisa davanti al cancello?“. Ma fu chiarito che il dialogo era avvenuto quando i tg avevano già mostrato le immagini del cantiere di Mapello, dove c’era appunto un cancello. “Non so, può essere”, rispose Fikri, dimostrando di non essere a conoscenza della vicenda. L’accusa di omicidio e di occultamento di cadavere, però, per lui cade definitivamente solo il 22 febbraio dello scorso anno su decisione del gip. Resta, tuttavia, iscritto al registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento personale.
Il sospetto aleggia su di lui fino al 12 agosto 2013 quando venne cancellata dal gip anche l’ultima imputazione. Il suo legale, l’avvocato Roberta Barbieri, ha raccontato che, dopo un periodo passato in Marocco, Fikri di recente è tornato in Italia ha ottenuto il permesso di soggiorno, ma ancora non ha un lavoro. Ora starebbe valutando l’idea di una causa civile:
“Chiederemo il risarcimento allo Stato anche per il danno di immagine ed esistenziale recato al nostro assistito”, ha detto l’avvocato.
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