Morta a 22 mesi Matilda Romani: processo arriva in Cassazione

TORINO – Arrivera' domani in Cassazione il 'giallo' della morte di Matilda Romani, la bimba di 22 mesi che il 2 luglio 2005 mori' nella sua casa a Roasio (Vercelli).

Nel processo l'unico imputato e' la mamma di Matilda, Elena, accusata di omicidio preterintenzionale, reato dal quale e' gia' stata assolta due volte: dalla Corte d'assise di Novara, il 12 novembre 2007, e dalla Corte di Assise di Appello di Torino, il 15 dicembre 2009.

La sentenza e' stata impugnata dalla Procura Generale di Torino che e' convinta che a causare la morte della piccola sia stata la mamma e non il suo fidanzato dell'epoca, Antonio Cangialosi, come invece sostengono i giudici della Corte di Assise di Appello nella sentenza con la quale non solo hanno assolto Romani, ma hanno anche invitato la Procura di Vercelli a procedere nei suoi confronti.

Cangialosi, pero', e' stato gia' prosciolto dal gup di Vercelli, Maria Teresa Guaschino, il 23 maggio 2007 con una decisione che e' stata anche gia' confermata dalla Cassazione che, da domani, tornera' a occuparsi della morte della piccola Matilda.

La bimba mori' mentre in casa c'erano solo la mamma e il fidanzato. Sul suo corpicino l'autopsia rilevo' delle lesioni (al fegato, a un rene e a una costola) che un adulto avrebbe potuto provocarle per bloccarne i movimenti, mentre si trovava su un letto o un divano, schiacciandole con forza la schiena con una mano o piu' probabilmente con un piede.

La pubblica accusa ha sempre sostenuto che a causarle era stato un calcio sferrato dalla madre in un momento d'ira. La Corte di Assise di Appello, invece, sostiene che sia stato Cangialosi e che l'abbia fatto per fermare Matilda che voleva raggiungere la mamma fuori dalla stanza.

Sia Cangialosi, sia Elena Romani (che circa un anno fa e' diventata madre di una bambina) hanno sempre detto di essere innocenti, ma la Procura Generale di Torino e' di parere diverso: i due – scrive il pg Vittorio Nessi nel ricorso presentato nella primavera 2010 in Cassazione – hanno architettato ''una strategia difensiva comune''.

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