ROMA – Le cosiddette “relazioni finali”, cioè le pagine messe in colonna e i testi scritti nero bianco e in bella copia saranno consegnate al ministro Beatrice Lorenzin la prossima settimana. Ma la sostanza dell’inchiesta ministeriale sulle morti di parto negli ospedali (quattro casi nelle ultime settimane) è di fatto già nota: la “brutta copia” dei testi dice che gli ospedali stessi non hanno avuto nessuna responsabilità e colpa nei decessi.
Sentite le relazioni dei medici curanti, confrontate queste con le cartelle cliniche delle pazienti, verificato il percorso di assistenza e intervento, gli ispettori del Ministero della Salute non hanno trovato negligenze, abbandoni, errori di diagnosi e/o di cura. Le donne insomma sono morte non perché trascurate da medici o infermieri o perché nessuno avesse visto visibili guai in arrivo. Sono morte semplicemente, drammaticamente perché in Italia una volta su diecimila (ed è record di buona sanità) una donna muore quando partorisce. Muore per eventi clinici che la medicina allo stato attuale non sa come prevedere e prevenire.
E’ questa la verità per così dire medica. Che confligge con quella che si può chiamare la verità dei parenti che subiscono il trauma e il lutto. Parenti che invariabilmente raccontano o sospettano di una morte della loro cara causata da negligenza o imperizia. Sempre i parenti attestano “stava benissimo, andava tutto benissimo”. Sempre o quasi i parenti ricordano o credono di ricordare che la loro cara “è stata abbandonata”.
Qualche volta, raramente, i parenti hanno ragione e la loro verità coincide con i fatti realmente accaduti. La mala sanità esiste ma, almeno in ginecologia, non è la regola, piuttosto la rara eccezione. Più spesso la verità dei parenti (e della pubblica opinione) ha molto poco a che fare con i fatti. In mezzo, tra le due verità, una terza e spesso dirimente verità: quella giudiziaria, quella dei Tribunali dove alcune di queste tristi e dolorose storie finiscono. Terza verità, quella dei Tribunali che nessuno può dire oggi quale sarà in relazione ai casi delle quattro donne morte alla fine del 2015 mentre stavano partorendo negli ospedali italiani.
Vale qui però la pena di ricordare come la maggior parte degli incidenti sanitari, delle complicazioni e dei decessi relativi al parto avvengano in piccoli ospedali che praticano poche centinaia di parti all’anno. Sotto la soglia minima di 500 parti annui che offre la garanzia minima di esperienza di medici ed equipe sanitarie. Eppure la pubblica opinione al non partorire più in questi luoghi oggettivamente più pericolosi spesso non ci sta e difende come irrinunciabile patrimonio questi ospedaletti a tasso rischio relativamente elevato. Si sono visti perfino sacerdoti suonare campane a protesta perché l’ospedale di paese sia e resti il luogo del partorire. A ulteriore dimostrazione e riprova che la verità, quella vera, spesso non convince, non piace, non commuove e viene quindi spesso rifiutata. E la verità è che in caso di parto i grandi e attrezzati ed esperti ospedali italiani sono una garanzia documentata.