VENEZIA – Mose, il colore delle mazzette, “bianco, nero-bianco, nero”. I politici pagati. Dalle 700 pagine di ordinanza di custodia cautelare che ha incriminato la cosiddetta “cupola” veneziana ai vertici del Consorzio Nuova Venezia per il sistematico ricorso di tangenti a pioggia si può ricavare un metodo collaudato, una specie di “manuale per corrompere i politici” (titolo di Repubblica) affinato e regolato sulle diverse necessità di occultare la provenienza delle risorse impiegate senza, però, incappare in violazioni delle leggi sul finanziamento dei partiti. 50 sfumature di grigio, visto che la mazzetta poteva essere regolarmente registrata (bianco) o erogata attraverso la provvista approntata ad hoc tramite false fatturazioni e fondi neri (nero), oppure un mix tra i due (nero-bianco). Oltre
Avevamo deciso che per quello che riguardava il Pd i soldi venivano dati tramite Co.ve.co: usiamo la parola “bianco”, con regolare fattura, con somme registrate», racconta il compagno Pio (Pio Salvioli, secondo il gip prendeva i soldi dalle coop rosse appaltatrici e li girava ai politici, in particolare a Chisso del Pdl, ndr.). Di colori, e di binari. «Quando c’era la campagna elettorale si attivavano i “doppi binari” », puntualizza Piergiorgio Baita (presidente della Mantovani, ndr.) (La Repubblica)
Bianco. Bianche sono le somme registrate e date con fattura regolare, tramite Consorzio Nuova Venezia, per finanziare i politici ritenuti amici. Alla lista dei presunti beneficiari, nella quale oltre ai nomi già noti del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, dell’europarlamentare di Forza Italia Lia Sartori e dell’ex vicepresidente del consiglio regionale Giampietro Marchese, si aggiungono quelli di due deputati veneti del Partito democratico, Delia Murer e Andrea Martella, rieletti alle politiche del 2013. Per loro il metodo utilizzato sarebbe stato il “bianco”: cioè soldi proveniente dalle ditte appaltatrici del Mose, leciti, regolari ma di dubbia opportunità politica visto che sono serviti per finanziare la campagna elettorale delle politiche 2013 quando le stesse ditte erano abbondantemente fatte oggetto di chiacchiere (Baita era stato arrestato proprio nei giorni del voto, a febbraio).
Nero-bianco. Il doppio standard nero-bianco vale soprattutto per le campagne elettorali: un finanziamento con denaro proveniente da fatture gonfiate ma registrate dai comitati elettorali regolarmente al momento del passaggio.
Ma le somme in uscita dai bilanci delle ditte dovevano essere comunque giustificate. Come? Ci pensava Luciano Neri. Produceva fatture taroccate per prestazioni tecniche fittizie o anticipi sulle riserve sovradimensionate. Contratti e istanze «predisposte da Neri, depositario della contabilità », scrive il gip. Sulle fatture false, quindi le aziende pagavano un surplus di tasse. «Mettiamola così, maresciallo — mette a verbale Savioli — il nero ha un suo costo, ecco». (Fabio Tonacci, Francesco Viviano, La Repubblica)
Nero. Fatture gonfiate o completamente false per registrare prestazioni fittizie, provvista di fondi neri per consentire la distribuzione di tangenti. Dai verbali sono in tanti i politici che ne avrebbero beneficiato con consegne a mano.
Anche per Marchese, il candidato Pd alle regionali del Veneto del 2010, i soldi transitarono sui binari “nero”, e il “nerobianco”. Gli vengono versati 58 mila euro, «somma iscritta regolarmente in bilancio come finanziamento elettorale», ma risultato del solito giro di fatture false dell’ingegner Neri. Il quale, per l’occasione, crea un contratto ad hoc con la Selc, a cui il Consorzio ha affidato uno studio per la salvaguardia di Venezia e della Laguna. L’operazione è inesistente, ma quei 54 mila finiscono al comitato di Marchese. Non solo, però. Sostiene Mazzacurati: «A lui abbiamo dato in contati anche circa mezzo milione di euro in otto anni». Il cosiddetto binario “nero”. (Fabio Tonacci, Francesco Viviano, La Repubblica)
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