ROMA – Movida, contagi, sindaci, multe…anzi: multe o appelli? O ancora avvertimenti severi di possibili ri-chiusure cui nessuno crede?
Più o meno in tutto il paese, ovviamente in maggior misura nelle città, verso sera davanti ai bar e ai pub riaperti è folla.
Folla in fila, folla in fila serrata, file che si compongono e scompongono in gruppi e gruppetti. Gente, soprattutto giovani, che attendono in folla di consumare un aperitivo o quel che sia. E che lo consumano in ravvicinata compagnia.
Davanti ai bar o davanti ai pub nessuno o quasi pratica nei fatti distanze anti contagio e pochi, pochissimi, usano le mascherine come mascherina andrebbe usata. La si abbassa non solo ovviamente per bere, la si abbassa per parlare.
Davanti ai bar e ai pub in queste sere di un maggio meteorologicamente incerto. Ma non solo lì e non solo verso sera.
Nei parchi pubblici sono mamme con bimbi, famiglie a far crocchio e ad annullare distanza di protezione. Nei parchi e nelle strade non infrequente è la scena di plotoni di ciclisti che ansimano in formazione serrata, anche dopo essere scesi di sella, magari davanti a un bar o una fontanella-
E domani in fila serrata e in gruppi non distanziati molti saranno nell’andare al mare, nell’incolonnarsi fuori e davanti agli ingressi delle strutture balneari.
E minimi cenni di cedimento già si vedono nella quotidianità dei negozi: sia pure per pochi secondi la distanza tra clienti spesso salta, ce ne si dimentica nel day by day. Cenni più ampi di piccole crepe nella diga si osservano nei mercati.
Il governo si cruccia, Conte ripropone l’ovvio: “Non è tempo di movida”. I sindaci avvertono, ammoniscono, lamentano.
Ma botte piena e moglie ubriaca non si possono avere contemporaneamente, salvare capra e cavoli non si può.
Non esiste la possibilità di normare e poi controllare ogni comportamento pubblico. Non esiste, questa possibilità non c’è. Una volta riaperti i bar (giustamente) non esiste si formi fila ordinata e distanziata davanti al bar riaperto.
E al famoso universo delle buone intenzioni appartiene l’affidarsi al senso di responsabilità e civismo di ciascuno…
Ci sono molti ciascuno che senso di responsabilità collettiva l’hanno in dispetto e spregio e molti che vivono di un civismo il cui raggio d’azione non supera la soglia di casa. Minoranza, ma minoranza robusta.
C’è poi una maggioranza di “ciascuno” che poi letteralmente neanche ci pensa. Ogni giorno vien sempre più facile e naturale al giovane davanti al pub comportarsi come rischio di contagio non ci fosse, come coronavirus fosse svanito.
L’idea di una libera circolazione dei cittadini e insieme di una massiccia adozione e rispetto delle misure e comportamenti anti contagio è una buona intenzione. Punto.
Di cui non è detto siano lastricate né le tombe e neanche gli ingressi in ospedale. Forse, per le sue ancora in parte imperscrutabili vie, questo virus sarà clemente. O forse non lo è per nulla ed è soltanto che a noi in Italia sembra oggi quasi passato. Basta alzare gli occhi e vedere così non è: appena ieri in un solo giorno 106.000 contagiati sul pianeta (quelli contati, quindi molti di più).
Di certo non saranno minacciate e improbabili maxi multe o ripetute ronde di polizia o appelli di sindaci o avvertimenti di medici a convincere i più.
I più non digeriscono e non tollerano una realtà complessa. Non sanno e non vogliono viverla una realtà complessa. E complicatissima è la realtà in cui è sano e giusto vivere fuori lockdown ma è insano e autolesionista fare le cose normali in maniera normale.