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Nel Sud 13 milioni di italiani “convivono integrati” con le mafie

di Mino Fuccillo |1 Ottobre 2009 15:18

Totò Riina

Se lo dicono all’estero ci offendiamo, gridiamo al pregiudizio anti italiano, allo stereotipo pigro, stupido e invecchiato rispetto alla realtà. Poi, una delle rare volte che ci guardiamo allo specchio, scopriamo che «in 150 anni dall’unificazione nazionale le mafie sono cresciute, a tal punto da costituire forse la principale causa e il principale effetto del mancato sviluppo del Sud». Lo dice Beppe Pisanu, ex ministro degli Interni in uno dei governi Berlusconi. Va bene, parole di politico, parole… No, numeri. Numeri del Censis che in un rapporto di 139 pagine calcola: «Su 17 milioni di italiani che vivono in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, 13 convivono con le mafie».

Attenzione alla parola: “Convivono”. Non subiscono. Non soffrono. Non temono, meno che mai combattono. Convivono, cioè vivono insieme. Con conflitti ma anche patti. Con disagi ma anche vantaggi. Con abitudine, con naturalità. La mafia è «nell’economia, nelle amministrazioni pubbliche». Intorno ai soldi pubblici italiani ed europei si è creata una «borghesia mafiosa», una enorme “zona grigia”. C’è l’organizzazione criminale ma c’è soprattutto un «sistema criminale integrato nella società civile».

Ancora una volta attenzione alla parola: “Integrato”. Il sistema criminale sta dentro, fa parte della società civile. «Insieme si alimentano del 100 miliardi di euro di fondi europei previsti fino al 2011, dei miliardi di euro per la sanità e la formazione professionale, dei miliardi per gli appalti delle opere pubbliche». Questo lo stato delle cose in un terzo d’Italia dove non c’è Stato, dove l’economia è in mano alle cosche, dove milioni di italiani, a partire dalla classe dirigente, politica e non solo, con la mafia «convive ed è integrata».

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