Nuove Br, la sentenza: “Violenza politica generica non terrorismo”

Pubblicato il 12 Giugno 2012 - 11:27 OLTRE 6 MESI FA

MILANO, 11 GIU – Le nuove Br del partito comunista politico-militare progettavano ”plurimi attentati” che erano pero’ ”caratterizzati” da ”violenza generica e non terroristica”. Il gruppo aveva una ”visione politica” sovversiva e la strategia era di usare le ”armi per fare politica e non per fare la guerra”. Lo scrive la Corte d’Assise d’Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con cui ha emesso 11 condanne, tra cui quella ad Alfredo Davanzo, escludendo pero’ il reato di associazione terroristica.

Lo scorso 28 maggio, la seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano (presidente Anna Conforti), dopo l’annullamento da parte della Cassazione delle condanne emesse in secondo grado, aveva inflitto 11 condanne da 2 anni e 2 mesi fino a 11 anni e mezzo di carcere, riducendo le pene per tutti, assolvendo una persona e scarcerando un altro imputato.

A Davanzo, presunto ideologo del gruppo che, secondo l’accusa, stava preparando anche un attentato al giuslavorista Pietro Ichino, la Corte ha inflitto una condanna a 9 anni. E se nel giugno 2010 in appello la pena piu’ alta era stata 14 anni e 7 mesi di carcere, per Claudio Latino, ritenuto il capo della cellula milanese, era arrivata a maggio una condanna a 11 anni e mezzo. La Corte infatti aveva fatto cadere per tutti l’accusa di associazione con finalita’ terroristiche, derubricandola in associazione sovversiva.

Come scrive il giudice estensore Fabio Tucci, nelle 73 pagine di motivazioni, ”mentre il delittuoso disegno eversivo traspare in modo palese” dai progetti di attentati e dal ‘foglio clandestino’ che usava il Pcp-m, non si coglie pero’ ”il riferimento a strategie sorrette dalla finalita’ terroristica nei termini definiti dalla Cassazione (che aveva chiamato il ‘nuovo’ appello proprio a ‘ragionare’ sulle modalita’ della violenza del gruppo, ndr)”. Soprattutto dall’azione dei presunti brigatisti si evince che questi avevano ”obiettivi ‘di elezione’, funzionali ad attivare meccanismi di coesione di classe e di eventuale emulazione”, ma non volevano compiere ”azioni violente polidirette”. Ossia nei loro piani ”la popolazione non verra’ intimidita strumentalmente”.

Per questo, in sostanza, cade l’accusa di terrorismo. Nell’ambito della loro ”aberrante visione ideologica” non c’erano infatti ”operazioni concepite per generare panico e terrore e produttive di ‘effetti collaterali”’, che, secondo i giudici, caratterizzano il terrorismo. E malgrado gli imputati volessero con un progetto ”eversivo e sovversivo” destabilizzare ”le fondamentali strutture politiche economiche e sociali dello Stato” e non si facevano ”scupolo di lavorare a plurimi attentati”, il loro agire era caratterizzato ”da violenza generica e non terroristica”.

”Cosi’ come tragicamente era stato per Massimo D’Antona, anche Pietro Ichino costituiva un ‘obiettivo politico’ della violenza eversiva del gruppo”. Cosi’ la seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Milano spiega, nelle motivazioni della sentenza perché ha riconosciuto il risarcimento a favore del giuslavorista e senatore Ichino – uno degli obiettivi del ‘nucleo’ – che era stato invece annullato dalla Cassazione.