Operaio trovato morto in una cava, Rossi: “Ho bruciato il corpo ma non l’ho ucciso”

Pubblicato il 18 Ottobre 2010 - 23:47 OLTRE 6 MESI FA

”Non l’ho ucciso io. Il mio amico Donald Sacchetto si è suicidato. Non avrei avuto alcun motivo per ammazzarlo. Anche pochi minuti prima della tragedia io e lui scherzavamo allegramente, andavamo d’accordo”. Oggi, per circa 7 ore e mezza, l’imprenditore 29enne Simone Rossi di Ardenno (Sondrio), in carcere a Monza da oltre un anno, ha risposto alle innumerevoli domande dei pm Fabio Napoleone e Stefano Latorre al processo a suo carico che si sta celebrando in Corte d’Assise a Sondrio per la tragica fine del 36enne operaio valtellinese.

Sacchetto sparì da casa la notte del 16 maggio 2009 dopo la sua festa di compleanno e i suoi resti vennero rinvenuti nella cava di Ardenno di proprietà della famiglia del giovane ora accusato di omicidio volontario, distruzione e occultamento di cadavere, spaccio di cocaina e porto abusivo di arma da fuoco.

”Io per paura ho bruciato in parte il suo corpo seppellendone il cadavere nella mia cava – ha ammesso l’imprenditore del settore marmi Simone Rossi che prima di essere interrogato aveva reso spontanee dichiarazioni per circa un’ora e mezza fornendo la sua ricostruzione dei fatti -. L’ho occultato nel deposito di inerti perchè temevo che nessuno mi avrebbe creduto sul fatto di non averlo ammazzato io, ma è la verità: lui si è sparato, pochi istanti dopo avermi sottratto la pistola di sua proprietà che durante la festa mi aveva provvisoriamente consegnata affinché la tenessi nascosta nei miei pantaloni. Non sono un assassino. E il corpo è stato fatto a pezzi non certo dal sottoscritto, ma dagli escavatori fatti intervenire dai carabinieri che indicavano i punti in cui scavare”.