ROMA – A Ostia il clan Spada fa paura, così come i loro cugini Casamonica a Roma. E così al processo per mafia contro Carmine Spada mancano gli interpreti che possano tradurre i dialoghi in lingua rom, più precisamente sinti, fra gli imputati. I pochi interpreti che conoscono una lingua così complessa come il sinti (complessa perché non codificata e trasmessa solo per via orale) preferiscono rischiare un’imputazione per favoreggiamento piuttosto che aiutare la giustizia e poi rischiare le ritorsioni dei clan. Spiega Federica Angeli su Repubblica:
“Il processo può subire uno stop: non ci sono interpreti disposti a tradurre i dialoghi in sinti tra gli imputati”. L’allarme è rimbalzato da un’aula di tribunale al ministro della Giustizia Andrea Orlando: ci sono procedimenti penali e indagini che rischiano di arenarsi perché i traduttori in grado di comprendere dialoghi in lingua rom di clan della capitale non vogliono tradurre. Il caso finisce così in mano al ministro della Giustizia. È a lui che il presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano si rivolge con una lettera-appello in cui spiega la difficile situazione che la procura di Roma si trova ad affrontare. “La questione degli interpreti che hanno timore di ritorsioni dei clan e dunque si rifiutano di tradurre è gravissima. Quando mi è stato rappresentato il caso ho scritto a tutti i presidenti distrettuali. I colleghi di tutta Italia hanno lo stesso problema. Chiedo dunque al ministro della Giustizia di intervenire. Basterebbe un cambio della normativa o un’estensione della legge riservata ai collaboratori sotto copertura per garantire anonimato a questi interpreti rom”.
La questione è assai complessa ed è scoppiata qualche mese fa quando in un’aula di giustizia, mentre si celebrava il processo per estorsione con l’aggravante del metodo mafioso contro Carmine Spada, capoclan della famiglia rom di Ostia, cugino dei più noti Casamonica, il pm Mario Palazzi ha esposto il problema alla corte. Ovvero: molti dialoghi captati attraverso intercettazioni, appositamente fatti in lingua rom, non vengono tradotti. Meglio: gli interpreti hanno rifiutato di presentarsi in un’aula di giustizia al momento di dover confermare quanto da loro tradotto. Hanno paura e sanno che, una volta finito il lavoro con la Procura avranno ritorsioni pesanti da parte di questi personaggi malavitosi. Preferiscono quindi, come hanno riferito ai magistrati, essere denunciati per favoreggiamento piuttosto che essere presi di mira e sapere che prima o poi questi clan la faranno pagare cara.
“È un problema enorme, che esiste e va assolutamente affrontato – sostiene Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione nazionale magistrati – non riguarda solo Roma, in tutta Italia non si trovano persone disposte a collaborare con la giustizia quando si tratta di dialetto sinti. Il problema del rischio si pone per gli interpreti quando si tratta di lingue o dialetti particolari, parlati da comunità piuttosto ristrette. Gli interpreti sinti vanno tutelati con un intervento sulla normativa specifico che garantisca un regime speciale”. Stessa linea del presidente del Tribunale di Roma dunque, che è venuto a conoscenza della questione grazie a una comunicazione del giudice Adele Rando dopo la denuncia in aula del pm Palazzi. Presa carta e penna ha informato il suo superiore della battuta d’arresto all’importante processo contro il boss del clan Spada.
Così il silenzio degli interpreti rischia di bloccare decine di inchieste contro la criminalità organizzata romana di etnia rom che governa con traffici illegali (a quanto dimostrano le indagini in corso e le condanne avvenute in passato) almeno due quartieri chiave della capitale. La partita sembra essere ora completamente in mano alla politica.