Analfabeta a 35 anni, parla Paola: “Per i miei genitori la scuola era inutile”

Emigranti con la "valigia di cartone"

Paola ha 35 anni, un lavoro fisso e una figlia ma è totalmente analfabeta. Vive a Terni ma viene dalla Sicilia: «Quando mi muovo per strada mi oriento con i simboli, guardo le immagini, le case, i colori. Al supermercato non perdo tempo con le etichette, vado a memoria tra gli scaffali e riconosco le confezioni. A mia figlia, che ha quindici anni e va a scuola, non ho mai firmato una giustificazione».

Sulla carta d’identità al posto della firma c’è una croce. I moduli, che siano bollettini postali o autocertificazioni, non li compila mai, così come non si azzarda a percorrere strade che non conosce: i cartelli non sa leggerli.

Paola non ha mai imparato né a leggere né a scrivere. «Faccio la cameriera – racconta – il menù non ho bisogno di leggerlo, lo imparo a memoria. A mente tengo pure le ordinazioni dei clienti: non sbaglio mai un colpo, sono bravissima».

Paola non ha mai pensato di frequentare un corso per adulti: «Non ci starei con gli orari: con tutto quel che ho da fare figuriamoci se ho tempo di andare a scuola – taglia corto – Come si dice da noi, chi nasce libero non vada a cercar catene» e aggiunge: «A che servirebbero poi, i corsi? Me la cavo benissimo così anche senza saper leggere e scrivere. Quelle come me, in Sicilia, le chiamano le figlie della gallina nera. Sappiamo fin da piccole che che la nostra vita è tutta in salita…».

Paola quando parla si spiega bene anche se ogni tanto si rifugia nel dialetto. Nonostante faccia di tutto per apparire «integrata» e felice, l’analfabetismo le pesa addosso, più di quanto non voglia ammettere: «Non amo socializzare, ho pochi amici. Non mi va di dire agli altri cosa sono o non sono capace di fare. La maggior parte del mio tempo lo passo a casa: mi occupo delle faccende domestiche e mi diverto a cucinare».

Se non ha frequentato alcuna scuola, da bambina e poi da ragazza, non è per mancanza di volontà. «Quando sono nata c’era già l’obbligo scolastico, il dovere dell’istruzione, ma io sono figlia di emigranti, quelli con la valigia di cartone, tutta la vita e un pezzo di paese stipati là dentro. Per i miei genitori andare a scuola era un capriccio prima ancora che un diritto, una cosa inutile. Loro la pensavano così, e io ero troppo piccola per dire la mia». Anche durante la Messa era la stessa cosa. «Non ho aperto il libretto della Messa. I canti li conoscevo uno a uno, e il giuramento di fedeltà l’ho imparato a memoria» dice Paola mentre con l’indice si tocca la fronte.

Il segreto di Paola, oltre alla forza e all’abilità con le quali ha affrontato gli ostacoli, sembra stare tutto qua, nella sua immensa capacità di tenere fissi, in testa, nomi, fatti e persone: «Tutto sommato, a me è andata bene così, sono fortunata, ricordo in fretta e imparo senza fatica – spiega – ma mia figlia no, memoria o non memoria, deve continuare a studiare, finire le superiori». Questo, secondo la madre risparmieranno alla figlia il sentimento della vergogna.

Gestione cookie